Il comico Saverio Raimondo: «Impariamo a ridere di tutto, anche della disabilità» – L’intervista

di Giulia Marchina

L’attore è testimonial della campagna «Non c’è Sma che tenga», a sostegno del Numero verde Stella di Famiglie Sma. E qui spiega perché la comicità può essere uno strumento di aiuto e comprensione

Una volta c’era Picchiatello, interpretato da Jerry Lewis, che si contorceva in strane pose, così assurde da ricordare addirittura le movenze di uno spastico. Ma c’era anche il Tontolini – sciocco e maldestro – di Ferdinand Guillaume, il Cretinetti di André Deed. La comicità è da sempre alimentata dai comportamenti imbarazzanti, dai problemi provocati da disabili di vario tipo.


La disabilità, che può essere rappresentata dalla vecchina col tic alla gamba, o dal “menomato”, o dallo sbadato – perché, dopotutto, ognuno è disabile a modo suo. E questo è uno dei grandi temi che attraversa tutto il mondo del comico. Ma davvero si può fare comicità prendendo di mira le disabilità della gente? Per Saverio Raimondo è «necessario». Il comico, nato a Roma nel 1984, – premio Satira Politica 2016, «che conservo in bagno» – non ha dubbi: «Non farlo sarebbe un discrimine nei confronti dei disabili».


Ed è così che nasce la campagna Non c’è Sma che tenga, a sostegno del Numero verde Stella di Famiglie Sma che spiega come presentare una pratica di invalidità, ottenere il congedo parentale quando il proprio figlio non può andare a scuola, quali sono le novità terapeutiche e come fronteggiare il rischio Covid-19 durante le terapie ospedaliere e domiciliari. Il video, scritto e interpretato dal comico, con la regia di Giulio Reale, è volutamente sarcastico e sottolinea le difficoltà quotidiane dei cosiddetti normali rispetto alle persone con disabilità, ribaltando la narrazione usuale.

Per Raimondo l’Italia su questo tema non se la cava benissimo. Anzi, «c’è una certa ipocrisia», ci dice. Non si può neanche parlare di politicamente corretto ma di «politicamente ipocrita. Un modo di pensare e di agire strettamente legato all’handicap, alla morte. Ma in realtà non parlare di disabilità è discriminazione perché è una condizione che fa parte della vita e quindi è una di quelle cose di cui si può scherzare, ridere. Che poi ridere di una cosa significa parlarne, affrontarla, non deriderla. L’umorismo può essere un veicolo di alfabetizzazione rispetto a certi temi, e non di banale derisione. Bisogna ridere degli handicap altrui».

Anche se non gli piace fare beneficenza pubblicamente, per questa volta Raimondo ha accettato. «Le famiglie Sma volevano facessi qualcosa in linea col mio pensiero, allora ho fatto una cosa assolutamente anti retorica, che è secondo me la cosa migliore. La retorica legata all’handicap, per me, è la morte. E sono molto contento perché ho avuto una libertà che altrove non ho avuto. Spesso sono stato censurato per aver scritto battute, per aver fatto battute sulla disabilità, stavolta mi è andata bene».

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