In Evidenza ENISiriaUSA
ECONOMIA & LAVOROCoronavirusFranciaPortogalloRecovery FundSpagnaUnione europea

Spagna, Portogallo e Francia: chi ha paura del Recovery Fund

19 Ottobre 2020 - 19:24 Federico Bosco
Alcuni paesi gravemente colpiti dalla crisi economica stanno pensando di accettare solo i contributi a fondo perduto e non i prestiti

Dopo il Consiglio europeo di luglio, anche il premier spagnolo Pedro Sanchez annunciò il risultato del Recovery Fund in maniera trionfale. La Spagna ottenne la promessa di 140 miliardi di euro in aiuti, dei quali circa 63 sotto forma di prestiti (loans), e 77 in trasferimenti a fondo perduto (grants). Anche oggi, Madrid confida nella potenza di fuoco messa in campo dall’Unione europea per superare la crisi economica causata dalla pandemia, e vuole approvare un bilancio espansivo che allunghi l’orizzonte della legislatura. Qualcosa però è cambiato e, alla fine, è possibile che la Spagna non arrivi mai a consumare l’intero pacchetto di 140 miliardi di aiuti. Secondo El Pais, che cita a sua volta fonti di La Moncloa, l’esecutivo di Pedro Sanchez vuole usare tutti i grants (finanziamenti su progetti ma a fondo perduto) e rinunciare ai loans (prestiti), almeno in un primo momento.

La decisione di Spagna e Portogallo

PEDRO SANCHEZ
Ansa | Il premier spagnolo Pedro Sanchez

Il governo Sanchez vuole concordare l’utilizzo dei grants per il periodo 2021-2023, rimandando a una fase successiva l’eventuale decisione di usare i loans, per evitare di aumentare ulteriormente l’indebitamento complessivo del Paese. «La Commissione permette di decidere se richiedere i prestiti fino a luglio 2023. Cosa si guadagna richiedendoli adesso? Lo faremo, se ne avremo bisogno, per il periodo 2024-2026», dicono le fonti governative di La Moncloa. La Spagna non è l’unico Paese in cui si fanno queste valutazioni. Anche il Portogallo è della stessa idea.

Nella prima bozza del programma presentata a Bruxelles, il premier Antonio Costa ha comunicato le priorità di spesa per i circa 15 mld di grants, rimandando a una successiva valutazione  l’impiego di 4,3 mld di loans (sui 10,8 mld di prestiti destinati a Lisbona). Secondo quanto dichiarato il mese scorso, anche l’obiettivo di Costa è di non usare i loans, e nel caso, il Portogallo li accetterebbe solo per lo stretto necessario. Anche la Francia potrebbe arrivare a una decisione del genere, sempre nell’ottica di non alzare il debito. In Italia, invece, non sembra esserci nessun dibattito di questo tipo, almeno per il momento. 

Il timore di aumentare l’indebitamento

Ansa | La sede della Bce a Francoforte

Perché questo cambiamento di posizione da parte di tre paesi gravemente colpiti dalla crisi da Covid-19? Al momento i paesi dell’Eurozona non hanno problemi a finanziarsi sul mercato, il programma di acquisti straordinario (PEPP) da parte della Banca centrale europea ha ridotto al minimo i tassi di interesse pagati da tutti gli stati sul proprio debito, con effetti straordinari: Italia e Spagna sono arrivate a emettere titoli a tasso negativo, perciò gli incentivi a programmare l’attivazione dei prestiti dall’Ue, per quanto convenienti, sono ridotti.

Allo stesso tempo, è assai probabile che prima o poi Bruxelles torni a chiedere aggiustamenti macroeconomici agli Stati membri che hanno un rapporto debito/Pil troppo elevato – ormai nell’Eurozona del Sud supera il 100%, con la Francia al 115% e con l’Italia proiettata verso il 159% (dal 134,8% dell’anno scorso). Se così fosse il problema non sarebbe la condizionalità, ma la reciprocità. Condizioni così vantaggiose sono possibili solo grazie al programma della Bce, ma la sua fine o la richiesta di misure di convergenza è inevitabile. 

L’incognita patto di stabilità

Al momento non c’è nessuna garanzia che il Patto di stabilità (per il momento sospeso, ma non cancellato) venga rimosso e, anche immaginando una riforma radicale, è difficile immaginare che consenta livelli di indebitamento a tre cifre. Un segnale poco promettente in questo caso è la decisione della Germania, che ha già fatto sapere che userà la sua quota di Recovery Fund per contenere l’aumento del debito invece che per finanziare progetti per la crescita, restando fedele al principio dello zero nero, il pareggio di bilancio. 

Un circolo vizioso

Tuttavia, anche la prudenza è un problema. Nell’articolo di El Pais vengono citate le preoccupazioni di Lorenzo Codogno, ex dirigente generale al Dipartimento del Tesoro italiano. «I tassi di interesse nella periferia sono diminuiti a causa dell’azione combinata del programma della Bce e delle prospettive di ripresa fornite dall’accordo sul Recovery Fund; ci sono meno incentivi a chiedere prestiti se i paesi emettono debito a tassi di interesse molto bassi», afferma Codogno. Secondo El Pais, se l’esempio della Spagna si diffondesse, l’iniezione di liquidità prevista dal Recovery Fund perderebbe circa 360 mld di euro rispetto a quanto promesso, compromettendone l’efficacia. 

In qualche modo, il programma di ripresa dell’Ue rischia di diventare vittima del suo successo prima ancora di cominciare, un rischio che emerge proprio adesso che i focolai della seconda ondata della pandemia attraversano in lungo e in largo il continente. Inoltre, lo stesso Recovery Fund è in ritardo, fermo nella palude di un negoziato tra la Commissione europea, la presidenza tedesca dell’Ue e l’Europarlamento, con la prospettiva sempre più concreta di far slittare i primi trasferimenti alla seconda metà del 2021.

Continua a leggere su Open

Leggi anche:

Articoli di ECONOMIA & LAVORO più letti