Coronavirus, corsa contro il tempo. Crisanti: «Tre mesi di restrizioni per abbattere i numeri e arrivare al reset»

di Redazione

«Siamo al punto di partenza», afferma senza giri di parole il virologo. «Il sistema di tracciamento italiano si è sbriciolato una settimana fa. Per rintracciare le catene dovremmo individuare 160mila persone»

Ne è convinto Andrea Crisanti: «Per arrivare a un reset, servono tre mesi di restrizioni». Il direttore del dipartimento di Microbiologia e Virologia dell’Università di Padova, ospite di Piazzapulita su La7, pone l’accento sull’importanza dei provvedimenti politici e dei protocolli sanitari contro il Coronavirus da attuare in modo drastico, perché arrivati a questo punto – oggi +16.079 nuovi contagi – non c’è più tempo da perdere.


Imperativo è dunque fare presto, «abbattere i numeri» il prima possibile per farli tornare «a livelli gestibili per il contact tracing». Lo stesso Crisanti torna a sostenere che sarebbe stato meglio «effettuare tamponi a tappeto, almeno 300-400 mila al giorno, estendendoli alle reti allargate dei positivi, in modo da rompere la catena di contagi il prima possibile». E invece il tracciamento dei casi è diventato probabilmente impossibile al momento con numeri che seguono un trend al rialzo tanto veloce.


«Siamo al punto di partenza», afferma senza giri di parole il virologo. «Il sistema di tracciamento italiano si è sbriciolato una settimana fa. Per rintracciare le catene, considerati i 16 mila contagi di oggi, dovremmo individuare 160 mila persone – ha proseguito Crisanti -. Non esiste nessun sistema al mondo in grado di fare questo. Per riprendere il controllo del contagio l’unica arma che abbiamo sono le misure restrittive e di distanziamento sociale».

Quanto alle terapie intensive, il direttore del dipartimento di Microbiologia e Virologia dell’Università di Padova ha ragionato intorno al fatto che siano aumentate in maniera «asimmetrica». «Gli ospedali del Nord hanno reagito in maniera diversa di quelli del Sud che sono stati colpiti di meno nella prima ondata – ha detto Crisanti -. E poi non è soltanto un problema di posti letto in rianimazione, ma di personale. Un infermiere di rianimazione ha una professionalità elevatissima, così come un anestesista di rianimazione», ha concluso.

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