Coronavirus, le decisioni sulla scuola hanno bisogno di evidenza scientifica: dove sono i dati?

di Felice Florio

Mentre si decide del futuro degli istituti scolastici, cresce la richiesta di trasparenza sui numeri reali dei contagi tra i banchi. Al momento il ministero dell’Istruzione raccoglie questionari compilati dai presidi che non hanno alcun valore statistico

Il 14 settembre, con celebrazioni, visite di tutte le più alte cariche dello Stato e, soprattutto, tanto entusiasmo dei ragazzi, le scuole riaprivano i cancelli dopo la serrata, improvvisa, dello scorso 5 marzo. Era il segnale definitivo della ripartenza dell’Italia, dopo i mesi più bui della pandemia e il rilassamento, per certi versi catastrofico, delle vacanze estive. Non è durato che trenta giorni il rito della campanella, corredato, quest’anno, dalla misurazione della temperatura e dalle altre misure di igiene.


Proprio quando la disinfezione delle mani all’ingresso delle scuole e la consegna della mascherina monouso stavano diventando abitudine, la diffusione del Coronavirus ha subito un’accelerata che ha bruciato sul tempo la capacità di monitoraggio del sistema sanitario e la preparazione degli ospedali nel reggere l’urto di ricoveri e terapie intensive. I primi a farne le spese, ancora una volta, sono gli studenti, costretti a rispolverare i tablet e ad ascoltare i professori rinchiusi nella propria cameretta.


I più sfortunati sono gli alunni delle scuole primarie, medie e superiori della Campania: tutti a casa dal 16 ottobre. Il 26, invece, partirà la didattica a distanza per gli studenti delle scuole superiori lombarde. Stessa misura per Piemonte e Liguria, fatte salve le classi prime. Il Lazio, invece, introduce l’obbligo della didattica a distanza per il 50% delle classe superiori. Il bailamme politico ingeneratosi dopo le decisioni delle singole giunte regionali non ha fatto altro che silenziare uno dei problemi principali che hanno portato a questa situazione di caos.

Bocciati in statistica

Tralasciando le tensioni tra esecutivo e opposizioni, tra governatori e sindaci, la questione fondamentale è semplice: su quale base scientifica vengono prese certe decisioni? Come si può pretendere di incidere sulla vita di oltre 8 milioni di persone che gravitano ogni giorno nelle scuole senza avere un supporto statistiche che giustifichi la scelta di chiudere un asset del Paese piuttosto che un altro? La verità è che, a più di un mese dall’inizio dell’anno scolastico, il ministero dell’Istruzione non è stato in grado di raccogliere ed elaborare dati affidabili sul contagio nelle scuole.

Ci avevano provato Lorenzo Ruffino, studente di Economia a Torino, insieme al dottorando Vittorio Nicoletta: i due, prima dei resoconti imprecisi e incompleti che il ministero è riuscito a produrre non prima del 5 ottobre, avevano creato una piattaforma per il monitoraggio dei focolai nelle scuole italiane. «Quando i contagi, verso metà ottobre, sono schizzati, abbiamo preso una decisione – racconta Ruffino a Open -. Era impossibile starci dietro in sole due persone. Piuttosto che fornire dati confusi e inesatti, abbiamo fatto un passo indietro, sperando che iniziasse a occuparsene il ministero competente».

Il monitoraggio del ministero dell’Istruzione, però, non è che un paragrafo scarno e privo di fondamento statistico: non si evince il numero totale di scuole monitorate e non c’è nessuna distribuzione geografica dei cluster scolastici. Manca persino la ripartizione dei contagi nei diversi ordini scolastici. «Questo non vuol dire condividere dare e informazioni. Anzi, è un grossolano tentativo di sembrare trasparenti, con il risultato opposto di palesare le proprie inefficienze – aggiunge Ruffino -. I dati, messi in questo modo, sono inutilizzabili».

Allora, dietro le scelte dei singoli presidenti di Regione di chiudere o meno le scuole, non può che esserci un’altra filiera di raccolta dati: le Asl, ad esempio, durante la procedura di compilazione delle schede dei positivi individuati nel territorio di competenza, può evidenziare situazioni particolari che si verificano nelle scuole. Un lavoro che rientra nella cruciale fase del tracciamento e che, come ravvisato da più epidemiologi, sta rischiando di saltare. Le Regioni, poi, agglomerando i dati delle Asl, potrebbero aver assunto provvedimenti che vanno nella direzione della chiusura delle scuole. Ma a oggi non è dato sapere se sia questo l’iter accertato.

L’aumento dei cluster scolastici

La ministra Lucia Azzolina, nel tentativo di rassicurare la popolazione annunciando i dati, parziali, in suo possesso, ha in realtà commesso un autogol comunicativo. «Prendendo in esame l’ultima settimana disponibile, quella che va dal 3 al 10 ottobre, l’incidenza dei contagi avvenuti tra gli studenti è maggiore dell’incidenza delle altre categorie di persone – spiega Ruffino -. Il mondo scolastico, sulla popolazione totale, pesa per il 13,6%. I casi positivi nelle scuole, invece, sono state il 15,7% dei casi totali». Stando a queste percentuali, la situazione non è affatto tranquilla. Anche l’Istituto superiore di sanità rileva un aumento costante dei focolai nelle scuole. Nella settimana tra il 21 e il 27 settembre erano 14 i focolai attivi nelle scuole, in quella successiva, tra il 28 settembre e il 4 ottobre, i cluster erano 30 e nell’ultima rilevazione, tra il 5 e l’11 ottobre, i focolai scolastici erano 66.

Il questionario

Impossibile, invece, elaborare stime precise sui dati forniti dal ministero. Alla loro incompletezza si aggiunge il metodo di raccolta: i dati, incredibilmente, sarebbero frutto di un semplice questionario inviato settimanalmente dai presidi al ministero. Non si sa quante scuole vi partecipino e se la rilevazione comprende gli istituti paritari. «Per rendere dignitoso questo monitoraggio – conclude Ruffino -, serverebbe conoscere il numero di tamponi fatti sulla popolazione studentesca. Sappiamo che il tasso di positività dei tamponi è importante ai fini epidemiologici, ma con questa raccolta dati è impossibile conoscere quello degli studenti. Quali sono le scuole più a rischio? Non lo sappiamo, perché non c’è una distinzione degli ordini scolastici: eppure ci aiuterebbe a capire se i contagi avvengono maggiormente nelle primarie o nelle superiori, nelle aule o sui mezzi di trasporto. Con questi dati, è impossibile fare qualsiasi tipo di valutazione sensata».

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