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Tamponi solo ai sintomatici: cresce il fronte degli esperti favorevoli. Vaia e Richeldi: «Interventi mirati non sono una resa»

27 Ottobre 2020 - 13:48 Giada Giorgi
Il direttore dello Spallanzani e il membro del Comitato tecnico scientifico invocano un cambio di strategia sugli screening. Ma dal Cts precisano: «La riduzione non è oggetto di discussione»

La corsa al tampone è, secondo molti esperti, una delle principali cause di congestione di un iter di tracciamento sempre più in panne. L’appello a frenare la corsa allo screening arriva da più fronti. Dai medici di famiglia e dai centri pubblici e privati – si avverte – il tampone per la Covid-19 come strumento di monitoraggio preventivo non può più essere considerata una strategia, soprattutto a fronte di un incremento esponenziale di nuovi casi. Sulla scia di queste considerazioni anche le ultime dichiarazioni del membro del Comitato tecnico scientifico (Cts) Luca Richeldi, che ad Agorà, su Rai 3, si è espresso in modo favorevole alla riduzione dei test molecolari.

«Fare i tamponi solo agli asintomatici non è da considerarsi certo una resa», ha detto lo pneumologo commentando l’opinione di un gruppo di fisici della Sapienza, contrari alla riduzione dei test. L’ipotesi di riformare le modalità di contact tracing è stata avanzata dalle Regioni, sempre più in difficoltà nel monitoraggio dei contagi, e viene oggi caldeggiata anche dall’esponente del Cts. «Una persona che starnutisce, tossisce e ha febbre ha una diffusione del virus alle persone circostanti più elevata» ha continuato Richeldi, riferendosi alla possibilità di tracciare soltanto i sintomatici.

L’altolà del Cts

Una posizione chiara che però non sembra essere condivisa dall’intero Comitato tecnico scientifico. A sottolinearlo sono alcune fonti dello stesso Cts che, nelle ultime ore, hanno tenuto a ribadire che «né il ministro della Salute Speranza né il Comitato tecnico scientifico hanno messo in discussione, almeno fino ad oggi, la necessità di effettuare tamponi ai soggetti asintomatici». Le fonti sostengono inoltre l’assenza di un attuale difficoltà nella disponibilità di test e che gli ostacoli sarebbero dovuti esclusivamente a «modalità organizzative e gestionali che non riescono a stare dietro al numero di tamponi previsto».

Oltre al direttore dell’Unità di Pneumologia del Policlinico Gemelli di Roma, a porsi sul fronte pro-riduzione tamponi è anche il professor Francesco Vaia. Direttore dell’Istituto nazionale per le malattie infettive dello Spallanzani di Roma, Vaia è in prima linea nella lotta al virus dall’inizio della pandemia. «Servono tamponi mirati», ha dichiarato, «altrimenti si genera un grande caos». Secondo gli esperti della Sapienza, con la riduzione dei test sfuggirebbero ai controlli il 43,5% dei casi positivi, come indicato dagli ultimi dati del ministero della Salute e dell’Istituto superiore di sanità (Iss). Ma per il professor Vaia «la rincorsa al contatto e al tampone» sta generando soltanto «stress, senza risultati sul blocco dell’epidemia».

Per spiegare meglio il concetto il direttore dello Spallanzani fa un paragone con quanto successo subito dopo l’estate, quando si era compreso che il contagio arrivava dai rientri dalle vacanze. «Siamo intervenuti con controlli su chi utilizzava i mezzi di trasporto per gli spostamenti, aerei, treni, navi», ha detto Vaia, sottolineando come quell’approccio abbia portato i suoi effetti positivi all’arginamento della diffusione. No alla politica dei tamponi generalizzati anche per Vaia dunque, che esorta il sistema sanitario ad adottare criteri più mirati: «Inutile rincorrere una catena che non riusciremo mai ad interrompere».

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