Coronavirus, i numeri in chiaro. Il professor Tizzoni: «Prematuro parlare di rallentamento, la percentuale dei tamponi positivi continua a crescere»

di Giada Ferraglioni

Secondo il ricercatore dell’Isi si continua a guardare al dato sbagliato: «Potremo dire che la situazione è migliorata solo quando il tasso di positività dei test inizierà a diminuire»

Il nuovo Dpcm sta per essere firmato e, dopo giorni di intense discussioni tra governo, Cts e Regioni, si è deciso per un coprifuoco dalle 22 alle 5. Una misura meno rigida di quella ipotizzata all’inizio, quando addirittura si pensava a una limitazione degli spostamenti a partire dalle 18 (poi progressivamente allentata). Tra le motivazioni dietro al cambio di rotta sembrerebbe esserci anche un presunto rallentamento dei nuovi contagi: oggi se ne sono registrati +28.244, ieri +22.253. Domenica 1° novembre ne erano stati segnalati 29.907 contro i 31.751 di sabato 30 ottobre. Ma bastano questi numeri per cantare vittoria? Secondo Michele Tizzoni, ricercatore della Fondazione Isi, decisamente no.


Professor Tizzoni, possiamo davvero parlare già di un rallentamento?


«No, è assolutamente prematuro. Per fare qualsiasi ipotesi bisogna avere dati consolidati che coprano almeno l’arco di una settimana. La diminuzione dei casi a cui stiamo assistendo da 3 giorni può dipendere esclusivamente dalla capacità di fare i tamponi: è molto probabile che questa settimana i casi non siano raddoppiati a causa del livello di saturazione dei laboratori. Banalmente, un freno derivante dall’incapacità del sistema di testing di stare dietro ai casi positivi».

Quindi il dato da tenere d’occhio è un altro.

«Sì. Arrivati a questo punto bisogna controllare la percentuale dei positivi sui tamponi effettuati. Nelle ultime settimane è cresciuta sempre. Nel giro di un mese siamo passati dal 3% al 16% – e siamo al 25% se si considerano le persone testate. È chiaro che ormai i contagiati sono fuori controllo. Potremo dire che la situazione è migliorata quando questa percentuale inizierà a scendere o a stabilizzarsi».

Siamo già in grado di calcolare quando ci sarà il picco della seconda ondata?

«Direi che è veramente molto difficile. Anche solo stabilire quanti casi ci saranno al picco è complicato, perché le misure politiche si stanno succedendo con molta rapidità, facendo cambiare così i parametri di calcolo. Molto dipenderà da quello che verrà deciso con il nuovo Dpcm – anche se probabilmente non sarà l’ultimo, quindi…».

A proposito di misure, cosa ne pensa della divisione per fasce di rischio? Ha senso?

«Ragionare in termini di indice Rt può essere un approccio valido. Capisco che, politicamente, si voglia distinguere tra varie regioni per attenuare un po’ la durezza delle restrizioni – così da evitare anche una paralisi completa del Paese. D’altro canto, però, si tratta di una scommessa che si è scelto di fare sulle spalle delle regioni in fascia cosiddetta verde: allentando le misure su quei territori (anche se non totalmente) si potrebbe fare un danno. In ogni caso, già il fatto che siano stati resi noti i criteri di decisione è una cosa buona. Prima era molto più difficile capire gli indici di riferimento che spingevano il governo a prendere certe misure, ora invece dovrebbero risultare automatiche».

Stando ai dati odierni, quali sono le regioni che preoccupano di più?

«Sicuramente il nordovest resta in particolare sofferenza. Piemonte, Lombardia, Liguria. Ma direi che anche la Toscana è da tenere sotto controllo, perché c’è stata una crescita molto rapida dei casi. Così la Campania. In ogni caso la situazione evolve in maniera molto rapida, e il problema vero è che i dati si riferiscono a contagi dei giorni scorsi. I numeri che abbiamo oggi sono una fotografia del passato. Fare delle previsioni è molto difficile».

Uno dei dati più forti di oggi è sicuramente quello sulle morti. Sono destinate a crescere ulteriormente?

«Sì, indubbiamente. Si tratta di persone che erano state contagiate 7 o più giorni fa. Questi purtroppo sono numeri che non ci sorprendono più considerando l’aumento importante dei casi dell’ultimo mese. Oltretutto a volte passa più tempo del previsto tra il decesso e la sua notifica. Bisogna mettere in conto anche una serie di ritardi che abbiamo sperimentato più volte».

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