Recovery Fund, il veto orientale mette a nudo le debolezze dell’architettura europea

di Federico Bosco

Dopo più di quattro mesi dal vertice di luglio, il Recovery Fund è ancora lontano dall’essere realtà. Il prossimo Consiglio europeo sarà di nuovo un vertice interessante, l’Italia e la Spagna dovranno farsi avanti per avere ciò che vogliono

Budapest e Varsavia l’avevano minacciato per settimane, e alla fine sono andate fino in fondo. Polonia e Ungheria hanno posto il veto sul bilancio pluriennale europeo, bloccando anche il Recovery Fund. Dopo l’accordo raggiunto da Commissione, Consiglio e Parlamento europeo, la maggior parte dei commentatori e dei funzionari avevano derubricato la minaccia a bluff, convinti che Viktor Orbán e Mateusz Morawiecki non sarebbero mai andati a vedere le carte, perché i loro paesi sono tra i maggiori beneficiari del bilancio pluriennale (Mff) e del Next Generation EU (Ngeu). Un ragionamento ingenuo, che non ha tenuto conto della motivazione di Budapest e Varsavia.


La linea del Piave di Orbán (e gli altri)

Orbán ha tutti gli incentivi di questo mondo se si tratta di bloccare un meccanismo di controllo progettato per colpire lui e il suo sistema di potere, costruito con anni di supremazia assoluta sulla politica ungherese. Tutta la discussione e il negoziato intorno alla questione dello stato di diritto si è sviluppata con l’obiettivo di costruire un meccanismo per colpire prima di tutto il leader magiaro, poi la Polonia e a seguire i Paesi dell’Est che non dovessero rimettersi in riga. Orbán ne è consapevole, riconosce il pericolo di un meccanismo che durante i negoziati è diventato molto più severo di quello proposto inizialmente dalla presidenza tedesca.


Il fatto che Ungheria e Polonia siano dei beneficiari netti dei fondi strutturali non rappresenta un problema, l’attesa è una ferita che si può sopportare. Cedere sul meccanismo dello stato di diritto invece vuol dire perdere il potere politico che dà significato al potere economico. Inoltre, come dichiarato dal segretario di Stato per la comunicazione e le relazioni internazionali del governo ungherese, l’introduzione di meccanismi come quello proposto è contrario al patto del vertice di luglio.

Allo sesso modo, Orbán sa bene che l’Italia e la Spagna hanno disperatamente bisogno di accedere alle sovvenzioni del Recovery Fund, e non possono permettersi ulteriori ritardi. Nel gioco dell’azzardo politico non importa se le carte che si hanno in mano siano realmente buone o cattive, ciò che conta è la volontà di assumersi rischi calcolati e, in questo caso, quanto si è disposti a vedere il bluff degli altri. Adesso sono Roma e Madrid a doversi muovere in sede europea per chiedere il disinnesco del meccanismo sullo stato di diritto. Per Budapest e Varsavia il veto è lo strumento per arrivare al risultato.

Cosa succede adesso

Per i progetti europei la situazione è quasi drammatica. Giovedì è previsto un vertice in videoconferenza tra i leader di governo. L’agenda prevede una discussione sulla pandemia, ma inevitabilmente si dovrà parlare dell’impasse su Bilancio pluriennale e sul Recovery Fund. Se non si raggiunge rapidamente l’accordo, ci sarà bisogno di un vertice straordinario per risolvere la questione. Il fattore tempo è essenziale, oltre all’approvazione in sede Ue infatti c’è anche quella (tutt’altro che semplice) nei 27 Parlamenti nazionali.

Particolarmente furiose le reazioni degli europarlamentari, compresa quella del tedesco Manfred Weber, leader del Ppe di cui fa parte anche Orbán. Weber ha detto che «Se Viktor Orbán e Jaros?aw Kaczynski (leader del PiS polacco) vogliono interrompere l’uso di questi fondi, allora dovranno spiegarlo ai milioni di lavoratori e imprenditori, ai sindaci e agli studenti, ai ricercatori e agli agricoltori che contano sul sostegno dei fondi».

Dopo la giornata di ieri però l’Ue non dispone più di alcuna leva per convincere Budapest e Varsavia ad accettare un meccanismo costruito per colpire i governi in carica. Per le opinioni pubbliche dei paesi europei saràmolto più difficile capire perché continuare a bloccare il Recovery Fund a causa delle violazioni dello stato di diritto in Polonia e Ungheria. La verità è che Orbán è in una posizione molto più forte di quello che si è fatto credere.

Alla fine un compromesso sarà raggiunto, ma quando?

Sicuramente l’Ungheria e la Polonia non accetteranno un meccanismo che sarebbe usato contro di loro, ma potrebbero accettarne uno che non li colpisca subito (dimenticando il passato), o forse mai. Anche nel Patto di stabilità e crescita (ora sospeso) c’è un sistema che prevede sanzioni, ma non è mai stato attivato anche quando c’era occasione di farlo.

Dopo più di quattro mesi dal vertice di luglio, il Recovery Fund è ancora lontano dall’essere realtà. Il prossimo Consiglio europeo sarà di nuovo un vertice interessante, l’Italia e la Spagna dovranno farsi avanti per avere ciò che vogliono. La Germania è dalla loro parte, Angela Merkel tiene personalmente al successo del Recovery Fund, ma per ora l’unica certezza è che i miliardi del Ngeu arriveranno in ritardo, con una alta probabilità che continueranno a farsi aspettare ancora a lungo.

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