Coronavirus, i numeri in chiaro. La prof. Taliani: «Il vaccino da solo non ci salverà dalla terza ondata» – L’intervista

di Riccardo Liberatore

Secondo la professoressa di malattie infettive, gli effetti del vaccino si sentiranno gradualmente e sarà importante procedere con cautela e intervenire in modo mirato. A partire dalla scuola

Da due giorni nel bollettino della Protezione civile, che oggi ha riportato 24.099 nuovi casi e 814 decessi, a fianco del numero totale di persone in terapia intensiva viene pubblicato anche il numero di nuovi ingressi in rianimazione, regione per regione. Il risultato è, come era stato ipotizzato in passato, che a fronte di una diminuzione nel numero di pazienti in rianimazione – oggi era 3.567, ieri 3.597 – gli ingressi in rianimazione sono stati 201. «Non mi sorprende – dichiara Gloria Taliani, professoressa di malattie infettive alla Sapienza di Roma -, perché le terapie intensive, così come la mortalità, rappresentano un indicatore di eventi successi una decina di giorni fa. Comunque, il dato complessivo è che diminuiscono su base nazionale sia i casi ricoverati in ospedale e in terapia intensiva, sia su base domiciliare».


Professoressa, d’ora in avanti dovremmo prestare attenzione soprattutto al numero di nuovi ingressi in rianimazione?


«Il totale di posti occupati in realtà è ancora interessante perché ci sono quattro regioni che ne hanno più di 300, quattro che ne hanno tra 200-300 e una sola regione ne ha 100, sette regioni ne hanno meno di 100 e quattro regioni non ne hanno affatto. Insomma, ci aiuta a capire la pressione sul sistema sanitario. Guardando il rapporto tra i nuovi guariti e i nuovi casi, ci sono alcune regioni virtuose in cui prevalgono i guariti rispetto ai nuovi casi, il che significa che il serbatoio si sta svuotando. In particolare, ci sono otto regioni in cui ancora prevalgono i nuovi positivi rispetto ai guariti».

Quali sono?

«Basilicata, Friuli, Lazio, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto e Trentino. Tutte, tranne il Lazio e il Veneto, registrano un incremento di casi in isolamento, quindi tutto sommato sembrano più condizioni blande che non condizioni severe. Quando i nuovi casi prevalgono sui guariti vuol dire che siamo ancora in fase di crescita. Ci dobbiamo aspettare che in Veneto e in Lazio il numero di ingressi in terapia intensiva non scenderà velocemente. Mentre Lombardia e Piemonte – che hanno ugualmente più di 300 casi, ma dove sono in aumento in guariti – diminuirà più velocemente».

Con i nuovi dati però possiamo fare una stima del numero di persone che muoiono a causa del Covid fuori dalle terapie intensive?

«Dovrebbero essere tra i 600 e 700, su un totale di 814».

Secondo lei, cosa si può fare per ridurre il numero di decessi? 

«Non si può fare niente purtroppo, è un treno in corsa che si fermerà nel momento in cui diminuiranno i casi, quando diminuiranno i casi. Certo, bisogna velocizzare il processo di ricovero nei pazienti bisognosi rendendo ancora più efficiente il sistema di collaborazione con i medici di medicina generale, che abbiano una chiara consapevolezza del loro ruolo di “semaforo”. Devono essere pronti a capire quando un paziente deve andare in pronto soccorso».

In un’intervista al Corriere, Stefano Centanni, primario di Pneumologia all’Asst Santi Paolo e Carlo ha dichiarato che siamo ancora nel picco dei morti. Quello dei casi è ormai alle nostre spalle?

«Il picco massimo è rappresentato dai nuovi casi diagnosticati, dal numero di positivi sui tamponi eseguiti. Oggi abbiamo abbiamo l’1112%, il vero picco è stato il 13 di novembre, quando avevamo il 1617%. Altra cosa è la curva dei pazienti che finiranno in reparto ed è spostata in avanti di almeno una settimana o dieci giorni. I decessi saranno gli ultimi a diminuire».

Quanto saranno determinanti i vaccini per scongiurare una terza ondata?

«Il vaccino è una grandissima scommessa perché pone dei problemi di carattere logistico non indifferenti. È chiaro che sarà una grandissima scommessa che se riusciamo a vincere ci porterà non soltanto il beneficio della vaccinazione, ma anche di una infrastruttura che funziona. Quanto all’impatto sui nuovi casi e sulla diffusione della malattia, sarà tutto da vedere, perché ci sarà una selezione dei soggetti da vaccinare e non mi aspetto realisticamente che il vaccino possa incidere pesantemente. Ancora sarà necessario avere un atteggiamento di grandissima cautela sul piano dei comportamenti. Diffondere la falsa speranza che il vaccino ci salverà significa tralasciare tutto quello che dobbiamo ancora fare per contenere la diffusione virus».

Altre chiusure? 

«La chiusura diventa indispensabile quando la situazione epidemiologica si fa come quella che abbiamo sperimentato tra ottobre e novembre. Numeri alla mano, per aumentare di 56 mila casi ci sono voluti 4 giorni, dal 18 novembre al picco del 22 di novembre. In dodici giorni successivi non siamo riusciti a ridurre il totale neppure di 50 mila unità: se noi cresciamo in un giorno, ce ne vogliono 3 o 4 per tornare al valore precedente. L’obiettivo non è necessariamente quello di chiudere, ma quello di avere atteggiamenti molto cauti – e ha fatto benissimo il governo a introdurre restrizioni nel periodo natalizio – e poi, lentamente, quando comincerà a diminuire in maniera costante la curva, si potrà pensare di riprendere una vita più libera e più ordinaria, sempre indossando le mascherine e adottando le necessarie cautele».

Secondo lei, la riapertura delle scuole il 7 gennaio è prematura? Rischia di far salire nuovamente i casi?

«Guardando i dati mi ero resa conto che la curva era ricominciata a salire 14 giorni dopo la riapertura delle scuole. Noi sappiamo che i bambini hanno una sensibilità più bassa al virus e il problema sono gli adulti che li portano. Insomma, il problema non è tanto all’interno delle aule, quanto a tutto l’indotto che la riapertura delle scuole implica. Però, non riaprire la scuola significa consegnare alla popolazione e al resto del mondo l’idea di un paese che non sa intervenire, quindi penso che sia importante farlo, ma non allo sbaraglio».

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