La scuola non può ripartire senza un programma di raccolta e monitoraggio dei dati sui contagi

I dati sui contagi nelle scuole italiane raccolti dal Miur non vengono resi noti da ottobre e il Cts “pare” non essere a conoscenza di queste informazioni. Ma allora sulla base di quali dati si tornerà in classe? E cosa succederà dopo?

A 9 mesi dall’inizio dell’emergenza Coronavirus, dopo una falsa partenza a settembre, l’Italia non ha ancora un piano davvero completo di rientro per la scuola. Si continua a navigare a vista, di giorno in giorno, di riunione in riunione, di tavolo in tavolo, con i rappresentanti delle istituzioni locali, con i funzionari degli altri ministeri, con i sindacati, con le associazioni del trasporto pubblico locale. Solo negli ultimi giorni la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ha iniziato a presentare con il contagocce alcuni punti di quello che sarà il piano per il progressivo ritorno sui banchi che prenderà il via il 7 gennaio 2021.


Un rientro graduale che dovrebbe riportare la didattica in presenza al 75%, secondo quanto stabilito dal Dpcm del 3 dicembre. Nel nuovo piano, già presentato alle Regioni, sarebbe inclusa l’ipotesi di posticipare la data di fine anno scolastico, con lezioni che potrebbero andare avanti almeno fino alla fine di giugno, per recuperare le aperture a singhiozzo e le interruzioni varie registrate sinora. Altra ipotesi sul tavolo è quella di mandare a scuola le studentesse e gli studenti anche di sabato (anche se in diverse realtà scolastiche già accade, da anni).


Che fine hanno fatto i dati sui contagi nelle scuole?

Certo, l’ecosistema scuola deve fare i conti con innumerevoli variabili: le capacità del trasporto pubblico locale, le differenziazioni delle fasce orarie e la programmazione di eventuali ingressi scaglionati, il pressing delle famiglie e studenti che richiedono una didattica in presenza, ma anche – e soprattutto, giacché se ne parla in un contesto pandemico – i possibili contagi. Già, i contagi. La ministra Azzolina e il governo, unitamente agli esperti del Comitato tecnico scientifico, hanno assicurato più volte che «la scuola è un luogo sicuro», dove i contagi rappresentano per lo più «casi sporadici, contratti all’esterno degli istituti».

Ma il Miur ha diffuso solo 3 comunicati ufficiali sulla situazione epidemiologica scolastica in Italia. L’ultimo rapporto è stato pubblicato il 15 ottobre. Nel report viene dato conto di 5.793 contagi tra gli studenti, 1.020 contagi tra il personale docente e 283 contagi tra il personale non docente, per un totale di 7.096 casi registrati dal 25 settembre al 10 ottobre

Dopo quest’ultimo comunicato, il ministero dell’Istruzione non ha più diffuso i dati sui contagi nelle scuole. Il Miur, dal canto suo, ha comunicato che i dati epidemiologici scolastici sono stati condivisi sin dall’inizio delle rilevazioni con l’Istituto Superiore di Sanità, che però non ne ha mai fatto menzione specificamente né li ha resi pubblici. Quindi, che fine hanno fatto i dati sulla diffusione del virus nelle scuole italiane? 

In tre settimane i dati dei contagi nelle scuole sono aumentati di 9 volte

Il 30 novembre scorso, i dati sull’andamento dell’epidemiologico a livello scolastico sono stati ottenuti e pubblicati dalla rivista Wired che, appellandosi al Foia (Freedom of information act, ndr), ossia la richiesta di accesso civico-generalizzato, ha ottenuto i dati dal Miur. Al 31 ottobre – tre settimane dopo l’ultimo comunicato del ministero dell’Istruzione – i casi di contagio nella popolazione scolastica, tra studenti, docenti e personale non docente, risultano aver raggiunto quota 64.980. In sostanza, nell’arco di 21 giorni, i contagi sarebbero aumentati di circa 9 volte rispetto all’ultima rilevazione pubblicata dal ministero dell’Istruzione. 

Questi dati, come sottolineato nell’analisi di Riccardo Saporiti su Wired, «sono stati forniti su base comunale e riguardano 2.546 Comuni sugli oltre 6.700 sul cui territorio ha sede una scuola» (ossia poco più di un terzo dei comuni, ndr), malgrado i dirigenti scolastici di tutte le scuole italiane avrebbero dovuto raccogliere settimanalmente i dati sui contagi negli istituti di propria competenza, per poi inviarli al ministero dell’Istruzione. Non è dato sapere se molti presidi non abbiano inviato tali dati, o se semplicemente le scuole che mancano all’appello non abbiano registrato casi di contagio.

Miozzo (Cts): «Non eravamo a conoscenza dei dati del Miur». Ma qualcosa non torna

E se fino a qualche settimana fa la maggioranza di governo era divisa tra chi voleva anticipare il ritorno tra i banchi di scuola già al 9 o al 14 dicembre e chi prendeva tempo, a influire su una scelta del genere avrebbe dovuto aver peso anche la posizione del Comitato tecnico scientifico. Ma durante l’audizione del 2 dicembre in commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera, il coordinatore del Cts, Agostino Miozzo (al netto degli ultimi dati disponibili, ossia quelli pubblicati appunto da Wired e risalenti al 31 ottobre 2020) ha riferito che il Comitato tecnico scientifico «non era a conoscenza di questo tipo di indagine» condotta dal Miur.

Dichiarazioni, quelle di Miozzo, che però si scontrano con quanto riportato nel verbale della seduta del 5 ottobre del Cts, in cui figurano presenti sia la ministra Lucia Azzolina, sia lo stesso coordinatore del Cts. Un verbale in cui risultano altresì essere stati condivisi (e si presume argomento di discussione, ndr) i dati raccolti dal Miur sull’andamento epidemiologico nelle scuole, così come evidenziato da Lorenzo Ruffino su Pagella Politica. Certo, non è detto che questi dati non siano stati più oggetto di confronto negli incontri successivi tra Miur e Cts, ma è altresì vero che non sono disponibili i verbali completi delle successive riunioni per poterlo verificare.

Sulla base di quali dati vengono decise le riaperture delle scuole?

In qualunque caso vien da chiedersi sulla base di quali dati – sempre che vengano raccolti in forma articolata, rigorosa e completa – solo fino a una manciata di settimane fa si ipotizzava la riapertura delle scuole e la didattica in presenza già nel periodo a ridosso delle festività natalizie. Così come è naturale chiedersi sulla base di quali indicatori sia stata decisa la riapertura progressiva delle scuole dal 7 gennaio 2021 in poi. Ma non solo.

Una volta che le scuole riprenderanno con la didattica in presenza, cosa ne sarà dei questionari per tracciare l’andamento epidemiologico nei singoli istituti scolastici? Il Miur tornerà a pubblicare i dati dei contagi tra la popolazione scolastica? Verranno condivisi con il Cts? Come sarà possibile valutare il funzionamento del piano di rientro a scuola in assenza di dati ed eventualmente porre rimedio alle possibili falle?

Il rischio che si replichi la falsa partenza scolastica dello scorso settembre è alto, ma a rendere ancor più grave la situazione è l’assenza (anche) di un piano chiaro, minuzioso, preciso per monitorare e tracciare con dati scientifici e pubblici l’andamento epidemiologico all’interno delle scuole italiane di ogni ordine e grado. Il tutto sulla pelle di oltre 8 milioni di studenti e di oltre 1 milione di lavoratori tra docenti e personale ATA, e relative famiglie, a ben 9 mesi dall’inizio dell’emergenza Covid.

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