L’Unione europea e l’Egitto di al-Sisi, tra la sete di giustizia e i limiti imposti dalla realpolitik

Il Parlamento europeo ha approvato la mozione che chiede un’indagine trasparente e indipendente sulle violazioni dei diritti umani nel paese medio orientale. Ma l’Europa è divisa da interessi contrapposti

Ieri il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione in cui viene chiesta un’indagine indipendente e trasparente su tutte le violazioni dei diritti umani in Egitto. Nel testo vengono citati i casi di Giulio Regeni e Patrick Zaki, esortando le autorità egiziane a collaborare con la giustizia italiana sul caso Regeni e a scarcerare immediatamente Zaki. Pierfrancesco Majorino, tra gli eurodeputati che hanno animato la risoluzione, si dice soddisfatto. «Il testo è molto netto, forse il più coraggioso e duro nella storia del Parlamento europeo sul tema del rispetto dei diritti umani in Egitto», ha dichiarato a Open. Nel documento, la plenaria ribadisce l’invito all’Alto rappresentante dell’azione esterna Josep Borrell, e alle diplomazie degli Stati membri, di dare una risposta unitaria e risoluta alla repressione e alle violazioni dei diritti umani in Egitto.


Il solito, dannato Medio Oriente

Raggiungere un largo consenso su argomenti come il rispetto dei diritti umani è molto più facile che passare all’atto pratico di sanzionare un regime come quello del generale al-Sisi, leader di un Paese cruciale del quadrante tra Nordafrica e Medio Oriente. Proprio in questi giorni si ricorda l’inizio della Primavera araba a 10 anni da quegli eventi che hanno sconvolto la regione, e il caso dell’Egitto racchiude tutti gli elementi più controversi di quel periodo.


Dopo la sollevazione che spazzò via il generale Hosni Mubarak, il tentativo democratico egiziano consegnò il governo al leader della Fratellanza musulmana Mohamed Morsi, che in poco tempo fece scivolare il Paese da un incubo a un altro. La storia finì con il colpo di stato dei militari e l’ascesa di un altro generale, Abdel Fattah al-Sisi, scandita da una repressione violentissima segnata dal Massacro di piazza Rabia al-Adawiyya. Una strage che ha segnato la memoria di tutti i seguaci della Fratellanza musulmana, a partire dal presidente della Turchia Recep Tayyip Erdo?an, faro dei fratelli musulmani, che ancora oggi usa il segno di Rabia a memoria di quel giorno.

Oggi Erdogan e al-Sisi combattono una guerra per procura in Libia, e con i loro Paesi sono tra le figure più rappresentative dei conflitti interni al mondo islamico. L’Egitto ha visto dunque accrescere il suo peso geopolitico e negli ultimi anni ha assunto un ruolo irrinunciabile anche tra le potenze energetiche del Mediterraneo. Sempre in questi giorni, ha fatto notizia il caso della Legion d’onore francese conferita al presidente egiziano che, giustamente, ha causato indignazione in Italia.

Emmanuel Macron è impegnato a contrastare l’influenza dell’islam politico in Patria e a contrastare, insieme alla Grecia e a Cipro, l’ascesa della Turchia nel Mediterraneo e in Libia. Parigi è quindi schierata contro Ankara, faro dei fratelli musulmani, e trova nell’Egitto di al-Sisi un alleato di cui non può fare a meno. Per motivi diversi, l’alleanza con la Turchia di Erdogan è necessaria per Paesi come la Germania e l’Italia, e queste divisioni intra-europee si presentano regolarmente in sede comunitaria (e non solo). 

Secondo alcuni analisti anche la liberazione dei pescatori di Mazara del Vallo potrebbe essere collegata al ruolo dell’Egitto. Il generale Khalifa Haftar è legato al regime egiziano, e c’è chi afferma che sia stato proprio al-Sisi a sbloccare il negoziato. A giudicare dal trattamento subito dai pescatori nei 108 giorni di prigionia, la trattativa con l’Italia, fino a pochi giorni fa, non stava andando bene. Probabilmente il prezzo della liberazione sarà visibile più avanti, ma per l’Italia sarebbe molto imbarazzante se si venisse a sapere che Roma è scesa a patti con il regime egiziano.

La sete di giustizia e i limiti della politica 

La risoluzione votata ieri da Parlamento europeo non è vincolante dal punto di vista giuridico, la discussione reale è rimandata al prossimo Consiglio dei ministri degli Esteri previsto per il 25 gennaio. Il desiderio degli europarlamentari è che l’alto valore simbolico del voto in plenaria convinca le diplomazie degli Paesi europei a prendere decisioni concrete, che mettano alle strette il regime egiziano. Tuttavia, gli interessi nazionali degli Stati membri sono in conflitto tra loro e le agende della diplomazia e dell’economia rispondono ad altre priorità.

Le stesse dinamiche comunitarie che impediscono di adottare una linea comune nei confronti della Turchia, impediranno di farlo nei confronti dell’Egitto di al-Sisi. La speranza è che si riesca almeno a trovare una strategia condivisa per garantire la liberazione immediata e incondizionata di Patrick Zaki, e verità per Giulio Regeni, sempre che dal regime di al-Sisi sia possibile aspettarsi la verità.

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