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Variante Covid, la rabbia dei passeggeri italiani bloccati in Uk e il buco dei 10 giorni con pochi controlli

21 Dicembre 2020 - 13:41 Redazione
Dal 10 al 20 dicembre i passeggeri rientrati in Italia dal Regno Unito non sono stati sottoposti a test rapido negli aeroporti e avevano “solo” l’obbligo della quarantena fiduciaria

Dalle 16.54 di ieri, 20 dicembre, l’Italia ha sospeso i voli da e verso il Regno Unito fino al 6 gennaio (con margine di proroga, ndr), al fine di prevenire la diffusione della nuova variante del Coronavirus. Una mutazione che secondo quanto riportato dal ministro della Salute, Roberto Speranza, «rende il contagio più veloce, ma non sembra fare danni maggiori sull’uomo». Al netto delle esigue informazioni sull’impatto della mutazione, il governo italiano, così come molti altri Paesi europei, ha optato per la strada «della massima prudenza», chiudendo – in blocco, a eccezione dei voli cargo e per emergenze sanitarie – i collegamenti con il Regno Unito.

Il caos voli per il rientro in Italia

E così, centinaia di italiani che pensavano di rientrare in Italia per le festività natalizie si son trovati bloccati (e abbandonati) di punto in bianco quando erano già in aeroporto. Già, perché se inizialmente si ipotizzava che l’effettivo blocco sarebbe entrato in vigore dalla mezzanotte tra il 20 e 21 dicembre, lo stop è invece stato immediato. 

E non mancano le proteste, anche perché le 16.54 hanno rappresentato un vero e proprio spartiacque per la partenza verso l’Italia. Dalle diverse testimonianze emerge infatti che chi aveva un volo programmato pochi minuti prima dell’orario della messa in atto del blocco è riuscito a tornare in Italia, ma chi aveva un volo programmato anche solo verso le 17.30-17.40 è stato lasciato a terra, con pochi minuti di preavviso. 

Le falle nei controlli aeroportuali

Una scelta tanto netta quanto difficile comprensione a livello temporale, anche considerando che nelle settimane scorse migliaia di italiani sono rientrati dal Regno Unito, con controlli non sempre troppo stringenti, né serrati. Secondo quanto disposto dal Dpcm del 3 dicembre, fino al 9 dicembre, per rientrare in Italia era necessario presentare all’imbarco un certificato di negatività al virus, da effettuarsi nei due giorni (massimo tre, ndr) antecedenti al volo. In caso di assenza di tale attestazione, il viaggio veniva comunque consentito e, nelle 48 ore successive all’arrivo in Italia, ci si sarebbe dovuti sottoporre al tampone di controllo.

Dal 10 al 20 dicembre le misure sono, in parte, cambiate. Non c’era più la possibilità di svolgere il test rapido una volta atterrati negli aeroporti italiani. In fase di imbarco era ancora richiesto il certificato di negatività ma il viaggio veniva comunque consentito ai passeggeri in rotta verso l’Italia anche se privi di certificato. Passeggeri che, una volta rientrati in Italia, avrebbero dovuto osservare il periodo di quarantena fiduciaria.

Non manca chi, ieri, è rimasto a terra e aveva speso centinaia di sterline per sottoporsi al tampone richiesto per il rientro in Italia. «Abbiamo buttato soldi in tamponi per rispettare le regole del rientro e ora siamo abbandonati a noi stessi. Non sappiamo a chi rivolgerci, mentre altri sono tornati a casa anche senza sottoporsi a test, solo perché hanno prenotato qualche giorno prima, o avevano l’aereo qualche ora prima di noi», si sfogano sui social. E starà ora al governo capire se e come sbloccare il rimpatrio di migliaia di italiani rimasti Oltremanica. Anche perché, ormai, la variante inglese del Coronavirus è già in Italia

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