I numeri in chiaro. Laurenti sui vaccini: «Lo scetticismo del personale medico va affrontato con il dialogo, ma su basi scientifiche»

di Maria Pia Mazza

«Abbiamo eliminato il vaiolo e la poliomielite, due malattie devastanti, il tutto grazie ai vaccini – spiega a Open Laurenti -. I vaccini sono “vittime dei loro successi”, perché non essendoci più le malattie che hanno contribuito a eradicare non si ha consapevolezza di che cosa si può evitare»

Secondo i dati di oggi, il numero dei nuovi casi di contagio da Coronavirus torna a crescere, parallelamente al numero dei tamponi, e purtroppo anche a quello dei decessi. Nella giornata di oggi si sono registrati +11.212 nuovi casi e 659 decessi per Covid. Ma a crescere sono anche i nuovi ingressi nelle terapie intensive +256 rispetto a ieri. Numeri «troppo alti per pensare che il virus non sia più tra noi» e che, col passaggio al nuovo anno, il peggio sia ormai passato.


Certo, ora c’è un’arma in più, il vaccino. Ma «numeri simili potrebbero rallentare le vaccinazioni», spiega a Open la dottoressa Patrizia Laurenti, docente presso l’Università Cattolica e direttrice del Servizio di Igiene ospedaliera. Dopo il V-Day del 27 dicembre, da domani, 30 dicembre, prenderanno il via le vaccinazioni anti-Covid di massa: «In questi giorni siamo un po’ compressi perché ci stiamo preparando per iniziare a vaccinare migliaia di persone. Ma ce la faremo».


Professoressa Laurenti, che aria si respira prima dell’inizio delle vaccinazioni su larga scala? 

«Lo spirito è buono e ottimistico. Ci sono state molte adesioni nel nostro ospedale, oltre 6.000, e questo denota una disponibilità degli operatori sanitari e una fiducia nei confronti del vaccino. Ci stiamo preparando a organizzare le sedute vaccinali in funzione delle dosi che arriveranno a scaglioni, con una grande flessibilità organizzativa. Vaccineremo anche nei giorni festivi, quindi a Capodanno, nelle domeniche, durante l’Epifania, proprio perché questo bene così prezioso quale è il vaccino va somministrato il più tempestivamente possibile per raggiungere il numero più alto di persone».

In diverse altre realtà, però, il clima sembra diverso e c’è scetticismo anche tra il personale medico-sanitario. Cosa ne pensa?

«Mi piacerebbe conoscere quali sono le motivazioni scientifiche, perché solo su queste possiamo instaurare un dialogo che porti a un aumento delle conoscenze, e di conseguenza di una consapevolezza del valore e della sicurezza delle vaccinazioni. Una cosa che peraltro la storia ha già dimostrato: abbiamo eradicato il vaiolo, abbiamo eliminato la poliomielite, due malattie devastanti, il tutto grazie ai vaccini. Diciamo spesso, tra noi colleghi, che i vaccini sono “vittime dei loro successi”, perché non essendoci più le malattie che hanno contribuito a eradicare e a eliminare non si ha consapevolezza di che cosa si può evitare». 

Come affrontare questo impasse?

«Il tema è molto delicato e va affrontato in maniera saggia. Vanno ascoltati gli operatori scettici, se vogliono condividere le loro preoccupazioni o i loro dubbi, confrontandosi con loro e spiegando cosa, allo stato attuale delle conoscenze, ci permette poi di dire che vaccini sono sicuri ed efficaci. Perché della sicurezza ed efficacia del vaccino abbiamo contezza in farmacoterapia: il vaccino non è altro che una farmaco-prevenzione». 

La mancata adesione di una fetta del personale medico-sanitario rischia di avere impatti sulla campagna di vaccinazione di massa e sul lungo periodo?

«Assolutamente sì. Ad oggi sono stati contagiati oltre 90.000 operatori sanitari, moltissimi sono anche deceduti. Gli ospedali e le Rsa possono diventare degli amplificatori della trasmissione del virus, quindi in tal caso il concetto che il vaccino non è solo l’interesse di un individuo ma della collettività prende ancora più forza». 

Al netto di questo scetticismo emerso verso questo specifico vaccino, più di qualcuno si chiede se gli operatori sanitari siano allora privi di copertura vaccinale per altre malattie. È così?

«Sono pochi i vaccini obbligatori per categorie professionali e tra queste categorie non ci sono gli operatori sanitari. O meglio: ad oggi non c’è nessun obbligo per nessuna vaccinazione degli operatori sanitari. È un tema molto delicato, perché chiama in causa anche l’eventuale idoneità al lavoro. Non a caso qualcuno si è spinto a dire che chi non è vaccinato sarebbe non idoneo al lavoro. Insomma, questo nodo diventa anche un tema di diritto al lavoro molto delicato. Certo, si crea una situazione paradossale, specialmente se si tratta di un rifiuto del vaccino da parte di operatori medico-sanitari». 

Secondo lei cosa manca per superare questa situazione paradossale?

«Serve una corretta comunicazione, il che richiede molto tempo. Nella mia esperienza ho imparato che se un medico dedica il proprio tempo ad ascoltare i dubbi delle persone, a spiegare le cose (compatibilmente con quel che si conosce sino a oggi), e anche ad ammettere apertamente che qualche aspetto – a oggi – non si conosce (ma ciò non implica dia luogo a effetti negativi post-vaccino), le persone tendono ad avere maggior fiducia, perché c’è una maggiore trasparenza. Il vaccino, in questo modo, non viene visto come un’imposizione e le persone si sentono più coinvolte in un progetto di salute pubblica. I medici vogliono il bene delle persone e dei propri assistiti: il tempo passato dedicato a spiegare alle persone torna indietro come fiducia e come consapevolezza e, in questo caso, come disponibilità ad accogliere un vaccino».

Passando ai dati odierni, la situazione generale sembra aver ripreso una piega non propriamente ideale ai fini di contenimento dei contagi, no?

«Siamo una cosa molto dinamica e ci sono delle situazioni giornaliere che confermano questo estremo dinamismo, collegato agli effetti dello shopping natalizio e alle riaperture, anche perché ora stiamo osservando che i risultati dei comportamenti di 10-14 giorni fa, all’incirca. Se guardiamo la curva nel complesso possiamo dire certamente che il trend è in diminuzione da mesi, ma è un trend che scende in modo molto lento. Questa lentezza rappresenta un rischio per un cambio di marcia di questa curva».

L’aumento dei nuovi casi, seppur con più tamponi, è indicativo comunque della persistente circolazione del virus, insomma. 

«Sì il numero di nuovi casi, in particolare, è rilevante perché è sopra una soglia e fa saltare il contact tracing. Bisogna capire che il virus circola in maniera importante. Bisognerebbe scendere almeno intorno ai 5.000 casi giornalieri per riprendere in mano questa epidemia. Se immaginiamo che ogni persona abbia verosimilmente una decina di contatti, chi più chi meno, con questi nuovi casi non è possibile effettuare il tracciamento in modo corretto. E il tracciamento è l’unica arma nel contenimento dell’epidemia». 

Non a caso oggi si son registrati +11.212 casi. Siamo ben lontani dalla soglia dei 5.000 che lei menziona. 

«I nuovi casi odierni confermano la fluidità della situazione. Quando una cosa è fluida è pericolosa. Se poi andiamo a vedere i dati delle ultime due settimane questi ci confermano che l’indice RT è in aumento rispetto alle due settimane precedenti. Questi sono segnali importanti da tenere monitorati su cui innalzare l’attenzione».

Anche l’incremento dei nuovi ingressi nelle terapie intensive non sono affatto buoni. Si va verso un nuovo aumento della pressione ospedaliera?

«Questi sono proprio gli indicatori nella circolazione attiva del virus e dell’impatto sui servizi sanitari, che non sono ancora fuori pericolo. Siamo ancora in zona rossa: non ci siamo. Abbiamo avuto oltre 73.000 morti, sono numeri drammatici. E questi numeri, che sono persone, confermano che in questa seconda ondata ci siamo ancora dentro con tutte le scarpe. La portata potrà mantenersi nelle settimane a venire, oppure c’è il rischio di terzo andata. Molto dipenderà dai prossimi giorni». 

Gennaio sarà il mese cruciale. Quali scenari ci attendono anche al netto della campagna vaccinale?

«Gennaio sarà la prova del nove. Sarà il mese cruciale per capire lo stato epidemiologico dell’Italia. Nella prima metà di gennaio avremo idea di dove ci troviamo rispetto a questa seconda andata. Il rischio è che se andiamo oltre certe soglie sarà anche difficile garantire l’efficacia di una buona campagna vaccinale. Il rischio che si corre è che le persone non possano venirsi a vaccinare perché non stanno bene, o perché sono in isolamento, piuttosto che in quarantena».

I tempi per le vaccinazioni sono tanto stringenti quanto tassativi, no?

«Sì, i tempi della vaccinazione sono molto stringenti, perché se io faccio una dose di vaccino oggi, tra il 19º il 22º giorno dovrò somministrare la seconda dose, pena l’inefficacia del vaccino. È fondamentale garantire la seconda dose dopo la prima, altrimenti è come se uno non si fosse vaccinato. Insomma, anche tra le due somministrazioni delle dosi del vaccino bisognerà prestare molta attenzione al fine di non rendere vano il tutto». 

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