Coronavirus, i numeri in chiaro. L’infettivologa Taliani: «Siamo tornati a ottobre, rischiamo un nuovo picco»

di Angela Gennaro

La professoressa della Sapienza di Roma: «Paghiamo le giornate di shopping pre-natalizio». E sui parametri che determinano le fasce regionali: «Ventuno sono tanti, giusto semplificare»

Anno nuovo, dubbi vecchi. La curva della diffusione dei contagi di Coronavirus in Italia, con i dati di oggi, vede aumentare ancora il tasso di positività al Covid in Italia, che si attesta al 14,1% rispetto al 12,6% di ieri. «Siamo nella situazione di inizio ottobre», spiega a Open Gloria Taliani, infettivologa e ordinaria di Malattie infettive all’università La Sapienza di Roma. «Siamo di fronte a un bivio, con una curva dei contagi che potrebbe salire di nuovo, oppure scendere». A ottobre si è tradotto nel picco della seconda ondata. E ora? «Sta a noi».


Professoressa, non è esattamente l’inizio dell’anno che speravamo, forse.


«Le parole d’ordine sono incertezza e incostanza. Se andiamo a guardare l’incremento giornaliero, ci accorgiamo che continua ad avere un andamento a “dente di sega”. Fino a questo momento era un dente di sega in diminuzione costante, con qualche picco di rialzo – si arrivava a un incremento giornaliero dello 0,95% intorno al 24 e al 25 dicembre, per poi scendere allo 0,4% fino al 27-28 dicembre. Ora è di nuovo in crescita ed è salito sopra l’1,1%: una risalita che non si vedeva dal 12 dicembre. Siamo ritornati indietro quindi di un paio di settimane o poco più».

Da cosa dipende?

«Dagli effetti del comportamento delle persone. Non ci sono dubbi. E se andiamo a guardare indietro, sempre rispetto all’incremento giornaliero, ritroviamo un valore dell’1,1% all’inizio di ottobre, con un picco al 5,04% al 30 di ottobre: quindi dopo tre settimane si capisce in che direzione si sta andando. Anche in questo caso tra tre settimane vedremo se questo 1,1% tende a rimanere stabile – o a salire e scendere come ora, ma sempre intorno alla mediana stabile – oppure se prende l’abbrivio e riparte. Il dato è improntato a una grande imprevedibilità, legata ai comportamenti.

Sì, c’è una flessione nel numero dei tamponi: anche lì il maggior numero è stato registrato intorno alla metà di novembre, quando tutto era in fase di picco. Poi dopo, lentamente, sono diminuiti. L’analogia è forte: oggi, sia come tasso di incremento giornaliero sia come numero di tamponi, siamo in una situazione analoga a quella dei primi di ottobre. E da lì è ripartito il picco, in costante ascesa fino alla metà di novembre. Diciamo che questo è un momento in cui si può andare potenzialmente in qualsiasi direzione: potenzialmente in salita come in discesa. Tutto è nelle mani di chi si muove e genera il rischio di contagio».

Stiamo assistendo all’effetto dei comportamenti di una decina di giorni fa, con le giornate di shopping pre-natalizio?

«Molto probabile. I tempi di incubazione sono quelli che sappiamo, si va da 72 ore a 12 giorni e mezzo, quindi in media una settimana. Coincide con l’inizio delle vacanze di Natale e degli incontri in famiglia».

Nel frattempo è arrivato il vaccino…

«Sì, ma – mi spiace dirlo – per il momento non influenzerà le curve, perché ancora riguarda una porzione ristretta di popolazione che non alimenta le curve in maniera significativa».

Quando vedremo i primi effetti della campagna vaccinale?

«Non è tanto una questione di cifre, quanto di categorie che accedono al vaccino. Sull’immunità di gregge ora c’è molto scetticismo, anche nella letteratura mondiale. Non è quella che ci proteggerà: quello che conta è che le persone che più distribuiscono il virus – i giovani – non accederanno al vaccino prima di molti mesi».

Andava allora ribaltata la strategia della campagna di vaccinazione come pure si è detto? Prima la popolazione più giovane?

«No. La strategia è corretta perché l’attesa del massimo effetto del vaccino è nella prevenzione della malattia in forma grave, come accade potenzialmente negli anziani. Quindi è corretto cominciare dalle persone in cui la malattia può essere più pericolosa: questo è quello per cui il vaccino è più efficace, proteggere prima di tutto le categorie più deboli».

Le Regioni chiedono (ancora una volta) di cambiare il sistema dei 21 parametri. Cosa ne pensa?

«Ventuno parametri sono tanti, e probabilmente alcuni sono anche ridondanti rispetto alla necessità di definizione di un quadro epidemiologico. In definitiva tutto quello che può essere semplificato ben venga. Anche se le regioni strepitano per la semplificazione, l’importante non è tanto la strategia di limitazione dei comportamenti, ma la consapevolezza che questa al momento resta l’unica via perseguibile».

Dobbiamo inasprire le restrizioni?

«Alcuni aspetti lasciano immaginare che ci debba essere un controllo severo. Guardando le singole regioni in termini di ricoverati, di pazienti in isolamento e in terapia intensiva già si capisce come deve essere designato il controllo dei movimenti a seconda del rischio persistente. Perché è palese che se, per esempio, in Campania ci sono 76mila isolati a domicilio con un incremento, oggi, di 1.048 persone, questo fa il paio quasi in modo analogo con l’incremento del Lazio, quello della Puglia o del Veneto, vuol dire che ci sono regioni che hanno bisogno di maggiore controllo effettivo rispetto ad altre in cui l’incremento è molto più basso o dove si registra un decremento come in Molise o in Friuli».

Bisogna quindi proseguire con il sistema delle aree di diverso colore?

«Assolutamente sì. Anzi, io sono convinta che non si debba andare con l’accetta sulle singole regioni, lavorando in modo così grossolano con provvedimenti su base regionale. A essere più a rischio sono le aree metropolitane: grandi città e centri urbani».

Un appello già avanzato da lei e da altri esperti ed esperte. Ma mai accolto.

«Sì, perché è ragionevole: anzi, più che lavorare sui parametri che sono stati definiti, lavorerei su questo. Non è mai stato accolto perché è più comodo lavorare come si fa ora rispetto a un lavoro di fino. Sia dal punto di vista politico che da quello logistico. Dobbiamo cercare una via di mezzo ragionevole tra il controllo della diffusione e la sopravvivenza economica del paese».

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