Governo, parla Scalfarotto: «Se il Pd si fosse mosso non ci sarebbe stata la crisi, Italia Viva lasciata sola a portare la croce del riformismo» – L’intervista

L’ex sottosegretario renziano: «Non ne facciamo una questione personale, se Conte cambia strada e accetta il dialogo siamo pronti a tornare»

Fino al 13 gennaio è stato sottosegretario di Stato agli Esteri. Poi, con la rottura tra Italia Viva e Conte, tutta la delegazione dei renziani si è ritirata dagli incarichi ministeriali. Ivan Scalfarotto, assieme alle ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, ha fatto le valigie e ha lasciato il governo Conte due. Una crisi al buio? «Una crisi», dice, «non avevamo altre strade per sbloccare l’immobilismo di questo esecutivo».


Scalfarotto, iniziamo dall’argomento più caldo: temete qualche defezione da parte di parlamentari di Italia Viva che vadano a ingrossare le fila dei cosiddetti «responsabili»?


«Non temiamo nulla di tutto ciò perché da sempre siamo contrari al vincolo di mandato: è una nostra posizione storica. La libertà del parlamentare è una pietra angolare della democrazia. A differenza dei parlamentari dei 5 Stelle, quelli di Italia Viva sono liberi di assumere le loro posizioni».

Sarò più diretto: c’è qualcuno dei vostri che ha scelto di passare nei «responsabili»?

«No. In questo momento siamo tutti compatti sulla scelta che abbiamo fatto. Ma, ripeto, non poniamo limiti alla libertà dei parlamentari. Bisogna domandarsi se quella di uscire da una maggioranza politica per poi supportare un governo che non sarebbe sostenuto da una maggioranza politica è la strada giusta».

Si spieghi.

«Mi pare di capire che si sta cercando di raccogliere parlamentari singoli. Non ci sarebbe una forza politica, come Italia Viva, a sostegno del governo, ma un numero non meglio precisato di cani sciolti che resterebbero liberi di cambiare posizione nel prosieguo dei lavori. Ecco, non mi sembra che così si potrebbe delineare una maggioranza solida».

Quando vi siete riuniti per decidere di rassegnare le dimissioni, avete sicuramente ipotizzato i diversi scenari. Tra questi, immaginavate la barricata del Pd in difesa di Conte?

«Non seguo le dichiarazioni della stampa giorno per giorno. Guarderò quelli che sono i fatti alla fine di questa crisi. Che io ricordi, nel 2019, quando Renzi lavorò per il governo Conte due, Zingaretti dichiarò subito che avrebbe preferito le elezioni. È la dimostrazione che le opinioni possono cambiare e, in politica, contano più i comportamenti concludenti che le dichiarazioni alla stampa».

Questa volta, però, Zingaretti ha praticamente chiuso la porta in faccia a Renzi, definendo Italia Viva «inaffidabile». Siamo arrivati alla resa dei conti nel rapporto lungo e tormentato tra Renzi e il Partito democratico?

«Ne ho lette di ben peggiori, non solo su di noi. L’etichetta della politica italiana è venuta meno da molti anni. Aspetterei prima di parlare di chiusura del Pd a un’alleanza con Italia Viva».

Quindi le posizioni sono ancora conciliabili?

«Alla fine conterà l’interesse del Paese. Abbiamo chiesto un governo più rapido, più efficace. È la stessa cosa che, con uno stile più felpato, ha chiesto Nicola Zingaretti. Noi è da luglio che cerchiamo di smuovere il governo, chiedendo una sessione parlamentare ad hoc sul Recovery Plan. Da settembre, anche Zingaretti si è unito alla nostra richiesta di accelerazione. Si è fatto un tavolo a novembre e poi basta».

Dov’è l’intoppo, perché l’esecutivo di cui anche voi facevate parte non accetta «l’accelerazione» di cui parla?

«Quello che ho constatato è che davanti alle nostre sollecitazioni Conte ha sempre tergiversato, ha preso tempo. Se il presidente del Consiglio avesse aperto fattivamente a un accordo per rafforzare il governo, magari con il potenziamento della squadra, non avremmo avuto nessun problema a restare in maggioranza. Anzi, aggiungo: noi non abbiamo avuto particolari problemi con la maggioranza di governo, ma con l’azione della squadra di governo. Conte ha spesso mortificato le regole democratiche».

Dovevate proprio lasciare l’esecutivo per far accogliere quelle richieste che, come dice, Conte ignorava?

«Abbiamo sollevato tutti i temi, dal Mes al Recovery Plan. Alle nostre sollecitazioni, con toni che si sono fatti sempre più duri, sapete cosa c’è stato detto da Palazzo Chigi? “Se uscite dalla maggioranza vi asfaltiamo”. E allora siamo usciti per non cedere al ricatto dell’immobilismo. Dovevamo porci il dubbio se il governo Conte due avesse le qualità per ridisegnare il futuro dell’Italia dei prossimi 20 anni. Purtroppo, non abbiamo ravvisato quelle competenze e la disponibilità a lavorare».

O forse il resto della maggioranza non voleva scendere a compromessi con voi.

«Io sono anche un deputato, oltre che ex sottosegretario. Per disciplina di coalizione ho votato cose che non avrei mai pensato di votare in vita mia: la prescrizione, il taglio dei parlamentari, la fiducia al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Il Movimento 5 stelle non può pensare di essere all’interno di questa coalizione mantenendo dei valori non negoziabili. La scorsa settimana i 5 stelle hanno votato in commissione contro il governo sulla Torino-Lione. E poi siamo noi a passare per indisciplinati…».

Prima però diceva che i problemi principali Italia Viva li ha con l’azione del governo, non la maggioranza. C’è qualche episodio in particolare che ha determinato questo strappo?

«Faccio qualche esempio di assurdità che hanno compromesso il rapporto con la presidenza del Consiglio. Non si era mai visto l’uso a reti unificate della propria pagina Facebook. Oppure i consigli dei ministri convocati di notte, senza pre-consiglio con i capi di gabinetto. Non si era mai visto un presidente del Consiglio che non attribuisce la delega ai servizi segreti. E allora, in una fase i cui i diritti costituzionali dei cittadini sono già stressati a causa della pandemia di Coronavirus, l’attenzione alle regole democratiche avrebbe dovuto essere spasmodica».

Eppure, già nella conferenza stampa in cui avete annunciato le dimissioni, avete fatto capire che Italia Viva è disposta ad accettare un nuovo esecutivo con a capo Conte. Come è possibile, viste le decine di collisioni politiche dell’ultimo anno?

«Semplice: non ne facciamo una questione personale. Altrimenti non avremmo scelto di governare con Conte nel 2019, quando lo potevamo tranquillamente definire amico di Salvini e di Trump. Siamo disposti a lavorare ancora con lui perché pensiamo che le persone possano cambiare e anche Conte possa impegnarsi a guidare in modo diverso un esecutivo».

Resta in piedi la questione del perché abbiate lasciato il governo.

«Perché quando abbiamo insistito per accelerare i lavori questo inverno, da Palazzo Chigi ci hanno risposto che avrebbero cercato una maggioranza alternativa. Italia Viva non può essere parte della maggioranza solo per leggere – in ritardo – il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Non solo avremmo dovuto essere coinvolti nella stesura, ma abbiamo anche dovuto insistere per leggerlo».

Avete parlato con Conte dopo le dimissioni?

«Né io, né Teresa Bellanova, né Elena Bonetti, né Matteo Renzi, ad oggi, abbiamo ricevuto una chiamata dal presidente del Consiglio. L’unica apertura di Conte è stata fatta ai giornalisti in mezzo alla strada, quando è sceso dal Quirinale. In una Repubblica seria, le forze di maggioranza comunicano in un altro modo».

È preoccupato dalla reazione dell’opinione pubblica nei confronti di Italia Viva?

«Da quando ci siamo dimessi c’è stata una santificazione del governo Conte e una nostra lapidazione. Ma sono sicuro che se parlassi con gli studenti che non possono rientrare in classe, con i ristoratori, con i lavoratori dello spettacolo e con le partite Iva, mi direbbero che sono insoddisfatti di questo governo. La domanda resta sempre di stampo politico: l’esecutivo era preparato a decidere per il futuro dell’Italia? La nostra risposta è stata negativa. Poi so bene che l’instabilità, in una fase come questa, è una cosa indesiderabile. Ma peggio dell’instabilità c’è l’immobilismo. A Conte abbiamo detto più volte: “Sediamoci a un tavolo, mettiamoci al lavoro per rendere più efficace il governo”. La risposta è stata: “Se mi togliete la fiducia, troverò qualche altra maggioranza”».

Il Pd è d’accordo con voi su molti temi, a partire dal Mes. Perché non avete fatto squadra per dare una scossa all’esecutivo?

«Credo che loro non si volessero esporre troppo. E aggiungo: se il Partito democratico avesse dato una spinta in più a questa situazione di stallo, la drammatizzazione alla quale stiamo assistendo non sarebbe stata necessaria. Nella maggior parte dei casi, noi di Italia Viva abbiamo dovuto portare la croce del riformismo».

Sembra che abbia del rammarico per le dimissioni, onorevole.

«Ho vissuto le mie dimissioni con profondo dolore. Ma non potevo ignorare la profonda riflessione che mi ha portato a rimettere l’incarico. Quando mi sono reso conto che questo governo non era in grado di affrontare le sfide per il futuro del Paese, ho scelto di non assumermi la responsabilità e di lasciarlo. E non ci sto a questa santificazione del governo Conte, perché è dovuta a un sentimento di paura. E la paura ha un effetto paralizzante. La finalità delle mie dimissioni, resti agli atti, è favorire la nascita di un governo più forte, più competente, più democratico».

Ultimo punto: ha parlato di «lapidazione» di Italia Viva. Sui social sono arrivati tantissime critiche, ed è normale, ma anche troppi insulti. State pensando a qualche azione di risposta?

«Sui social è partito uno shitstorm inaudito. E approfitto di questa intervista per rivolgermi a chi sta organizzando tutto ciò, perché sappiamo come funziona e ipotizziamo anche chi ci sia dietro. Smettetela di spendere soldi, tempo e fatica per le campagne di odio sui social, perché i commenti che ricevo su Facebook non spostano di un millimetro la mia posizione e non intaccano il mio stato d’animo».

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