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Telefoni roventi a caccia di «costruttori» cattolici e centristi, Calenda rimbalza Mastella. Cosa succede se Conte non convince 161 senatori

16 Gennaio 2021 - 11:12 Felice Florio
La situazione resta nebulosa: non c’è certezza del numero di senatori pronti a passare alla maggioranza. Nel frattempo, il tentativo di riconciliazione di Italia Viva apre nuovi scenari su un Conte ter ancora più stabile

C’è un mercato che in questi giorni non chiude mai ed è aperto 24 ore su 24, in barba alle disposizioni dell’ultimo Dpcm. È il bazar dei parlamentari, dove si barattano fedeli con «responsabili», loghi di gruppi vecchi con nomi di partiti nuovi. Quando all’opposizione c’erano i 5 stelle si sarebbero chiamate «compravendite», oggi si cerca di adombrare il passaggio da un gruppo a un altro con il termine «costruttori». A Clemente Mastella, veterano della Prima Repubblica, l’onere e l’onore di aver sdoganato per primo, in questa fase di crisi di governo, una prassi in realtà radicata nei sistemi proporzionali.

Tra le chiamate fatte dal sindaco di Benevento, però, ce n’è una che è andata a sollecitare il leader di un partito che aveva già ampiamente dichiarato la sua avversione alla permanenza di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. «Anche io ho avuto l’onore di una telefonata del simpatico Clemente. Una roba tipo “tu appoggi Conte e il Pd appoggia te a Roma” – scrive su Facebook Carlo Calenda -. Scarsa capacità di valutare il carattere degli uomini. O quanto meno il mio. Costruttori del nulla». Il fondatore di Azione, che in un primo momento non voleva rendere nota la conversazione privata, ha giustificato la pubblicazione dicendo di considerare «questa offerta un insulto personale e un dato politico rilevante per capire il quadro di degrado in cui versiamo».

Quanti «responsabili» servono? L’ipotesi del «governo di minoranza»

La soglia dei 161 ripetuta tanto dai giornali quanto dagli stessi parlamentari da quando Italia Viva si è sfilata dal governo non è esatta. O meglio, come ha spiegato Stefano Ceccanti, costituzionalista del Pd, il nuovo regolamento di Palazzo Madama prevede che per la fiducia contino solo i Sì e i No. Non serve la maggioranza assoluta dell’aula, non serve inserire nel computo assenti al voto e astensioni. Matteo Renzi ha già annunciato che si asterrà, martedì, dalla chiama per la fiducia a Conte. Ma se il presidente del Consiglio dovesse ottenere la maggior parte dei voti favorevoli senza superare la soglia dei 161, è probabile che salga comunque al Colle: governare, in questa fase complessa, senza una maggioranza solida è come dover correre dietro la pandemia, ma in un campo minato. Anche Andrea Orlando l’ha dichiarato: non si può pensare di governare «con un voto in più».

Centristi e cattolici: il sussulto delle vecchie logiche parlamentari

Le aperture di Italia Viva per tornare a collaborare con le altre forze a sostegno dell’esecutivo sono ormai palesi. C’è, però, chi nella maggioranza preferirebbe allearsi con i democristiani piuttosto che sedersi a un tavolo con Renzi. Letteralmente. Clemente Mastella, Gianfranco Rotondi e Bruno Tabacci, tutti ex iscritti alla Dc, sono i più attivi nella tessitura della rete di «responsabili» pro-Conte. Dall’area cattolica di centro, però, c’è qualcuno che si sta spendendo anche in favore di Renzi. Si tratta di Pier Ferdinando Casini, il quale ha sottolineato che un eventuale conferma di Conte senza Italia Viva sarebbe «una vittoria di Pirro».

Uno dei nomi più papabili per il passaggio in maggioranza si trova nelle file dell’Udc, lasciata da Casini nel 2016. Si tratta di Paola Binetti: si vocifera possa essere ricompensata con il ministero alla Famiglia. La senatrice lascia aperta ogni possibilità: «Vediamo come si comporta il premier, se dà dignità a un progetto politico di centro». Il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa prende tempo per comprendere cosa possano ricavare i tre parlamentari del suo partito dal passaggio all’opposizione. Bisognerà aspettare la riunione della segreteria, convocata per lunedì mattina.

Possibile riconciliazione?

Mentre il gruppo Maie-Italia 23, nato a sostegno di Conte, ha raccolto il suo quinto senatore, continua, incessante, la corte ai senatori di Italia Viva. Strapparli da Renzi avrebbe un valore effettivo e simbolico: avere voti in più al Senato per continuare con il governo Conte e assestare il colpo di grazia al senatore di Scandicci. Al momento, però, Italia Viva non fa segnalare defezioni. La sensazione è che la soglia psicologica dei 161 a Palazzo Madama non sarà così facile da raggiungere.

Per questo, anche dalla sponda Pd, si intravedono delle flebili riaperture a Renzi. E lo stesso Riccardo Nencini, senatore del Psi che ha prestato il simbolo al gruppo di Italia Viva per costituirsi al Senato e annoverato da subito tra i «responsabili», adesso punta alla riconciliazione. Un Conte ter senza Italia Viva, dice, «è una prospettiva che non è all’altezza né di questa fase politica né della situazione». Chi deve fare il primo passo, tra Conte e Renzi, per ricucire? «Chi ha la maggiore responsabilità: il premier».

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