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Il vaccino agli over 80 slitta per colpa di Pfizer? No, il governo usa i ritardi nelle consegne per giustificare le promesse che non può mantenere

26 Gennaio 2021 - 07:03 Giada Giorgi
Ancora prima dei ritardi annunciati dalla casa farmaceutica americana, le lacune del piano vaccinale italiano avrebbero portato a milioni di persone escluse persino dalla prima dose

Dopo settimane di obiettivi sbandierati e numeri promessi ben aldilà delle reali possibilità, l’annuncio pubblico del viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri è stata la prima grande resa della campagna vaccinale: fino a diversa comunicazione il piano non avanti. Giusto il tempo di riuscire a somministrare le seconde dosi per chi ha già ricevuto la prima iniezione e poi la corsa si arresta, facendo slittare di 4 settimane le vaccinazioni per gli anziani over 80, tra i soggetti messi più a rischio dall’infezione di Coronavirus. Poco meno di 24 ore dopo l’annuncio, il vice ministro si è affrettato a rassicurare il Paese anticipando un possibile ritorno di Pfizer nei ritmi stabiliti dalle prossime settimane. Ma con l’ormai poca fiducia nel colosso farmaceutico, il Paese senza certezze per ora è fermo.

«Le riduzioni di dosi comunicate da Pfizer e da Astrazeneca faranno slittare di circa quattro settimane i tempi previsti per la vaccinazione degli over 80 e di circa 6-8 settimane per il resto della popolazione». Da quanto annunciato da Sileri sarebbe stata dunque tutta colpa di Pfizer. Ma quello che i conti sui numeri del governo ci dicono da settimane è che il piano non sarebbe stato comunque rispettato. Ed è così che i ritardi della big pharma appaiono oggi come la migliore foglia di fico dietro cui nascondersi per giustificare un problema presente ancora prima degli ultimi rallentamenti.

I conti non danno la colpa a Pfizer

Prima che la campagna fosse minata dai ritardi e dagli annunci di consegne quasi dimezzate, in più occasioni Open aveva ribadito quanto con le dosi accordate finora (a ritmo regolare) e con una certa media di iniezioni giornaliere, il Paese non sarebbe riuscito a vaccinare i 6,5 milioni di persone entro il primo trimestre, al contrario di quanto promesso. Proviamo a ricapitolare:

La questione forniture

Partendo dai numeri riportati sul calendario vaccinale italiano, il totale delle categorie con priorità per il primo trimestre 2021 ammonta a quasi 6 milioni e mezzo di persone. La somma cioè di operatori sanitari (1.404.037), ospiti/lavoratori di Rsa (570.287) e ultra 80enni (4.4 milioni). Alla luce delle forniture che sarebbero dovute arrivare in Italia, escludendo quindi ritardi e riduzioni, i conti ci dicono che la prima fase non sarebbe stata rispettata: 6 milioni e mezzo di persone equivalgono a 13 milioni di dosi da iniettare, considerata la doppia inoculazione necessaria per garantire la completa immunità promessa dai dati di sperimentazione. 95% per Pfizer, 94.1% per Moderna.

Le dosi che, senza rallentamenti, Pfizer avrebbe dovuto garantire all’Italia nel primo trimestre sono 8.794 milioni. Quelle garantite da Moderna 1,3 milioni. In tutto fanno 10.094. Con l’incognita Astrazeneca, in cui il paese ha vissuto già dai primi giorni di campagna vaccinale, riuscire a immunizzare 6.5 milioni di persone risultava già impossibile prima dei rallentamenti. All’appello difatti sarebbero mancate circa 3 milioni di dosi, che il governo avrebbe dovuto sperare di ottenere o da ulteriori accordi o dall’approvazione di qualche altro vaccino.

La speranza riposta in Astrazeneca avrebbe potuto salvare le cose con circa 16 milioni di dosi acquistate. Ma anche prima dell’annuncio del taglio di fornitura al 60%, la grande problematica era rappresentata dal possibile limite di autorizzazione solo per gli under 55, deciso eventualmente da Ema. Ora la clausola sembra poter essere scongiurata ma tutto dovrà essere verificato il 29 gennaio.

Escluse dalla prima fase quasi 4 milioni di persone: e anche qui i ritardi non c’entrano

Provando a calcolare la coerenza degli obiettivi che si era dato il governo in termini di tempi e non solo di dosi, anche in questo caso si vede come il ritmo giornaliero di somministrazioni garantito dal Paese non sarebbe stato in grado di poter rispettare le promesse, a prescindere dai rallentamenti di Pfizer. Calcolando il numero delle somministrazioni dal 31 dicembre, giorno in cui le dosi di Pfizer sono state distribuite su tutto il territorio nazionale, fino alla data del 18 gennaio, e cioè prima dei ritardi, era possibile registrare per l’Italia una media di circa 60 mila iniezioni al giorno (ora diminuita a 54mila).

Con tale velocità saremmo arrivati alla fine di marzo con 7.6 milioni di iniezioni mancanti all’appello. E quindi con 3.8 milioni di persone per cui sarebbe stata a rischio perfino la prima somministrazione. Vale a dire quasi tutti gli ultraottantenni. E ancora: con 60 mila iniezioni al giorno, per i 3.8 milioni di persone che non avrebbero ricevuto la prima dose entro la fine del primo trimestre, la somministrazione della prima dose si sarebbe conclusa a fine maggio. Con un’immunità completa (prima e seconda dose) a quel punto prevista non prima di fine luglio. Dividendo infatti i 7.6 milioni di dosi esclusi dalla prima fase per la media delle 60 mila giornaliere, vedremo che occorrerebbero oltre 100 giorni per garantire la doppia somministrazione ai 3.8 milioni di persone.

Il ritmo necessario a garantire a tutti i soggetti del primo trimestre una difesa completa sarebbe stato invece di circa 150/155 mila somministrazioni al giorno. Un numero non presente nella tabella di marcia della campagna vaccinale ancora prima dei rallentamenti annunciati. Ora il piano rallenta ulteriormente con una media giornaliera di 54 mila iniezioni al giorno. Ma è il rallentamento di un piano vaccinale già compromesso fin dall’inizio, con il considerevole divario tra risorse garantite e promesse fatte.

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