Giallo non è il nuovo verde, anche Bassetti frena: «Che non scatti ora l’happy hour o torniamo presto in lockdown»

«Il futuro dipende da come ci comportiamo oggi. La zona gialla non è un “liberi tutti”», è il monito del primario di Malattie infettive al San Martino di Genova

Dal 1 febbraio la stragrande maggioranza delle regioni italiane passerà in zona gialla, ad eccezione della Puglia, della Sardegna, della Sicilia e dell’Umbria e della provincia autonoma di Bolzano, che resteranno in fascia arancione. Ma il timore che questa situazione possa essere intesa come un «liberi tutti», riportando a far circolare con maggior velocità il Coronavirus (rifacendo salire il numero dei contagi, delle ospedalizzazioni e, purtroppo, anche dei possibili decessi), preoccupa molti esperti.


«Che il cielo ce la mandi buona», ha commentato en tranchant Massimo Galli, professore ordinario di Malattie infettive all’Università Statale di Milano e primario all’Ospedale Sacco. Ma non è l’unico. Anche il professor Matteo Bassetti, primario di Malattie infettive al San Martino di Genova, si ritrova come raramente accade d’accordo con il collega milanese: «Se la zona gialla sarà un happy hour – dice a La Stampa – si creeranno nuovi focolai e torneremo presto in rosso».


Bassetti: «La pandemia dipende dai comportamenti delle persone»

Già, perché «l’attenzione va tenuta alta», perché il rischio di tornare velocemente a ulteriori inasprimenti è reale. Del resto, spiega il professor Bassettti, «la pandemia dipende dai comportamenti delle persone. Se tutti stanno più attenti in zona gialla, che comunque ha una serie di regole severe, c’è meno bisogno di imporre il rosso o addirittura il lockdown». Qualora dovesse aprirsi quest’ultimo scenario di restrizioni, vorrà dire che «non si è stati in grado di cogliere occasioni come questa», ossia quella di «provare a convivere veramente col virus grazie a distanze, mascherine, gel, divieti di assembramenti e bar e ristoranti chiusi la sera». 

A detta del primario del San Martino saranno soprattutto i giovani a doversi far portatori delle pratiche anti-contagio, nel rispetto «di nonni e persone fragili». Queste due fasce di popolazione, infatti, «vanno trattate come se fossero in zona rossa». E poi ci sono ancora i problemi sulla tracciabilità dei contagi, essendoci ancora troppi nuovi casi che rendono complicata la mappatura dei contatti pregressi.

Infine la campagna vaccinale, che rischia di essere messa a dura prova anche da un eventuale aumento dei contagi derivanti (anche) da comportamenti non adeguati assunti in zona gialla. Insomma, «le zone gialle sono un rischio, ma al contempo il lockdown perenne rischia di uccidere economia e società» e sarà bene tener sempre a mente che «il futuro dipende da come ci comportiamo oggi».

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