Gli otto bambini che sfidano le multinazionali del cioccolato: parte la causa per aver lavorato come schiavi nella piantagioni di cacao

Cosa c’è dietro a un cioccolatino? Alla vigilia di San Valentino diverse aziende nel settore del cacao vengono nuovamente accusate di sfruttare il lavoro minorile in Africa

Sono stati reclutati nel Mali quando erano ancora piccoli e costretti a lavorare senza alcuna retribuzione nelle piantagioni di cacao in Costa d’Avorio. Gli hanno persino tolto i documenti per evitare che fuggissero. Adesso che non sono più bambini ma giovani adulti, otto di loro hanno deciso di fare causa ad alcune delle multinazionali più importanti nel settore – Nestlé, Cargill, Barry Callebaut, Mars, Olam, Hershey e Mondelēz – accusandole di sfruttare la manodopera di migliaia di minorenni trattati come schiavi per coltivare e raccogliere la materia prima usata per produrre i cioccolatini, tra cui quelli che verranno consumati a quintali proprio a San Valentino.


La condizioni di lavoro

Come racconta il Guardian, uno di questi bambini è stato reclutato a soli 11 anni nella sua città natale di Kouroussandougou, nel Mali, con la promessa di un lavoro in Costa d’Avorio e un stipendio di 34 sterline al mese. Dopo due anni passati a lavorare nei campi in cui è stato costretto a svolgere mansioni logoranti e pericolose, come applicare pesticidi ed erbicidi senza le protezioni necessarie, neanche quelle 34 sterline si sono mai materializzate.


Anche un altro bambino, che riportava tagli sulle braccia e sulle mani a causa di incidenti sul lavoro con un machete, dopo anni non ha mai visto una sola sterlina. Molti dei querelanti citati nei documenti del tribunale riferiscono di essere stati nutriti poco e di aver lavorato giornate lunghissime. Spesso affermano di essere stati isolati o separati da bambini che parlavano altri dialetti. 

L’accusa

Una delle accuse centrali della class action indetta per conto di questi bambini dall’ International Rights Advocates (IRA) a Washington D.C., la prima del suo genere negli Stati Uniti, è che gli imputati, pur non possedendo le coltivazioni di cacao in questione «hanno approfittato consapevolmente» del lavoro illegale dei bambini nel Paese che, stando ai dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), viene produce il 32% del cacao al mondo.

Secondo l’accusa, le aziende erano in grado di fornire prezzi di molto inferiori rispetto a quelli che avrebbero realizzato assumendo degli adulti e non dei bambini per lavorare nei campi e utilizzando le protezioni necessarie. Inoltre, le società sono anche accusate di aver ingannato attivamente il pubblico impegnandosi nel 2001 ad «eliminare gradualmente» il lavoro minorile, un obiettivo che doveva essere raggiunto nel 2005 (secondo il protocollo Harkin-Engel), ma che non si è mai avverato.

Interpellate dal Guardian, diverse aziende hanno preferito non commentare. La Nestlé ha affermato che la causa «non promuove l’obiettivo comune di porre fine al lavoro minorile nell’industria del cacao» aggiungendo che «il lavoro minorile è inaccettabile e va contro tutto ciò che sosteniamo». Nel frattempo, stando a quanto deciso dalla World Cocoa Foundation, un ente industriale a cui appartengono tutti gli imputati, la scadenza per eliminare il lavoro minorile dalle propria filiera è slittata al 2025.

Leggi anche: