Vaccini per i Paesi più poveri, Europa e Stati Uniti si scordano degli ‘ultimi’: la Cina e la Russia no

di Riccardo Liberatore

Mentre molti dei Paesi più poveri non potranno vaccinare contro il Coronavirus più del 20% delle loro popolazioni quest’anno, l’Ue ha ordinato dosi pari a oltre due volte la propria popolazione. Sia Pechino che Mosca invece puntano sulle esportazioni – soprattutto verso Paesi in via di sviluppo

Con ogni settimana che passa dall’inizio della campagna vaccinale anti-Coronavirus, il tema delle disuguaglianze economiche tra i Paesi più ricchi e gli ultimi del pianeta si ripropone con maggiore urgenza. Mentre l’Europa annuncia l’acquisto di una seconda tranche del vaccino Pfizer-BioNTech per altre 300 milioni di dosi, avvia colloqui con l’azienda farmaceutica Valneva per l’ottavo vaccino e litiga sulle dosi extra concordate privatamente dalla Germania, il divario con il “sud globale” diventa sempre più grande. Basta guardare il numero di dosi acquistate o prenotate dai paesi Occidentali – Unione Europea e Stati Uniti in primis – e il resto del mondo per rendersene conto. Se le principali case farmaceutiche dovrebbero produrre in totale circa 12 miliardi di dosi nel 2021, circa 9 miliardi sono già state opzionate da un numero ristretto di Paesi, ovvero Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Nuova Zelanda, Australia e i Paesi membri dell’Unione europea.


L’Unione europea potrà fare affidamento su circa 2 miliardi di dosi, quindi poco oltre due volte la popolazione totale di 446 milioni considerando che i vaccini richiedono due dosi. Questo nonostante molti di questi vaccini vengano prodotti all’estero. Alcuni governi dei Paesi produttori sono corsi ai ripari. È il caso dell’India, uno dei più grandi produttori di vaccini al mondo e attualmente il secondo per numero di contagi (oltre 10 milioni) dopo gli Stati Uniti. Il governo di Delhi ha imposto alla casa farmaceutica che produce il vaccino AstraZeneca in India, il Serum Institute, di dare priorità assoluta al proprio Paese per almeno tre mesi, in modo di assicurare a Nuova Delhi i primi 100 milioni di dosi del vaccino. Altri, invece, guardano ai nuovi maestri della diplomazia vaccinale: la Cina e la Russia.


L’Africa ‘cinese’

Il vaccino cinese sviluppato dal China National Pharmaceutical Group (SinoPharm), è stato approvato in Cina a fine dicembre dopo che aveva segnalato un tasso di efficacia del 79% circa (anche se le stime variano) e adesso è in fase di preparazione. L’obiettivo è somministrare gratuitamente 50 milioni di dosi entro il 5 febbraio. Già a maggio 2020 il presidente cinese Xi Jinping aveva promesso che una volta finalizzato il vaccino sarebbe stato reso disponibile a prezzi abbordabili a tutti i Paesi in via di sviluppo in quanto «bene pubblico globale». La promessa di Xi Jinping non è altro che il capitolo più recente nella diplomazia sanitaria intrapresa dalla Cina a partire dai primi mesi dell’epidemia, anche per distogliere l’attenzione dai fatti di Wuhan, e che inizialmente aveva fatto presa anche in Italia dove i medici cinesi e i dispositivi di protezione made in China erano stati accolti con entusiasmo.

Nonostante la sua bassa efficacia rispetto alla maggior parte degli altri vaccini approvati – incluso quello russo – il vaccino cinese può essere conservato a temperature tra i 2 e gli 8 gradi centigradi, il che lo rende ancora più appetibile viste le fragilità logistiche dei Paesi in via di sviluppo. Tra l’altro, la Cina è ben posizionata in diversi paesi africani anche da questo punto di vista, grazie alla catena di distribuzione costruita dal miliardario dell’e-commerce – attualmente scomparso dalla scena pubblica cinese – Jack Ma, di Alibaba, tanto che a dicembre la sua società aveva anche stretto un accordo con Ethiopian Airlines per consegnare i vaccini Covid. Un paio di mesi prima, 51 ambasciatori e diplomatici di vari Paesi africani – dalla Sierra Leone al Niger – avevano visitato gli stabilimenti di SinoPharm in Cina, come primo passo nella loro collaborazione vaccinale. Nelle Seychelles le vaccinazioni con il farmaco cinese sono già iniziate.

Anche il Nord Africa rientra nella sfera d’influenza vaccinale cinese, tanto che una delle prime squadre mediche cinesi è stata mandata in Algeria (dove il Coronavirus era arrivato dalla Francia e l’Italia), mentre il Marocco ha stretto un accordo con Pechino per produrre il vaccino. In Egitto sono già arrivate le prime dose del vaccino mentre altre dosi dovrebbero arrivare verso fine gennaio, in tempo per iniziare la campagna vaccinale. Ma la diplomazia cinese si spinge oltre il continente africano e la distribuzione del vaccino si allargherà anche ai Paesi del Golfo (vedi gli Emirati Arabi), l’America Latina e il sudest asiatico. Il secondo vaccino cinese – di Sinovac Biotech – ha già venduto più di 300 milioni di dosi ai paesi del sud del mondo, inclusi il Brasile e l’Indonesia.

In totale la Cina punta a produrre un miliardo di dosi nel 2021, anche se non è ancora chiaro quante saranno destinate a Paesi in via di sviluppo: stime recenti parlano di 400 milioni di dosi ma il quotidiano del partito comunista Global Times sostiene che la maggioranza della produzione andrà agli oltre 100 Paesi con cui il paese ha stretto accordi, nonostante in Cina vivano circa 1,39 miliardi di persone. La Cnn ha recentemente accusato Pechino di aver fatto soltanto «vaghe promesse», ma ciò che è certo è che non sarà facile bilanciare la domanda interna così massiccia con così tanti ordini dall’estero.

Sputnik nel mondo

EPA/Juan Ignacio Roncoroni | Una donna mostra il suo certificato di vaccinazione anti-Covid grazie allo Sputnik V al Fiorito Hospital in Argentina, 29 dicembre 2020

E poi c’è la Russia. Nonostante il lancio del vaccino Sputnik sia stato fin troppo sfruttato dalla propaganda di Mosca che, pur di arrivare prima nel mondo, ha preso delle scorciatoie nell’approvazione, e successivamente ha pubblicizzato dati poco chiari sulla sua efficacia (dopo l’annuncio di Moderna che dava l’efficacia del suo vaccino al 94,5%, la Russia ha rivisto le proprie stime passando da 92% a 95%), in realtà lo Sputnik V dovrebbe avere un’efficacia pari al 91,4%. Tanto che anche la Commissione europea sembrerebbe interessata e ci sarebbero contatti in corso tra l’Ema e l’azienda produttrice della formula russa. In totale la Russia ha dichiarato di avere ordini per 1,2 miliardi e vorrebbe produrne il doppio. Nel frattempo le esportazioni sono già iniziate. A partire dall’Argentina, dove a fine dicembre la Russia aveva inviato circa 300 mila dosi, sollevando nuove proteste tra i cittadini russi in diverse province dove sarebbe arrivate soltanto qualche migliaio di dosi.

Come nel caso cinese, quello russo ha il vantaggio di essere meno costo rispetto ai vaccini diffusi al momento in Europa e soprattutto può essere conservato a temperature meno basse rispetto al vaccino Pfizer-BioNTech. Alcuni dei Paesi che hanno stretto accordi per ricevere lo Sputnik V sono alleati tradizionali della Russia, come le ex repubbliche sovietiche della Bielorussia e l’Uzbekistan. In America Latina, oltre all’Argentina, dovrebbero beneficiarne anche la Bolivia e il Venezuela, ma anche il Messico e il Brasile avrebbero ordinato diverse milioni di dosi, così come avrebbe fatto anche l’India.

Ma potrebbe essere la Palestina il fiore all’occhiello della diplomazia vaccinale russa. Emarginata da Israele – campione mondiale per il numero totale di vaccinazioni somministrate -, danneggiata dai ritardi europei (il vaccino AstraZeneca sarebbe dovuto arrivare a febbraio, ma probabilmente arriverà a marzo), la Palestina può contare su Sputnik V. La Russia, infatti, ha fatto sapere che consegnerà in Cisgiordania e nella striscia di Gaza un numero non meglio specificato di vaccini a partire dal prossimo mese.

COVAX e i limiti della solidarietà Occidentale

Quindi se la Cina si dice disposta a esportare la maggior parte di circa 1 miliardo di vaccini che conta di produrre nel 2021 e la Russia potrebbe addirittura superarla, quanti dei vaccini prodotti dagli Stati Uniti e dai Paesi dell’Unione europea finiranno ai Paesi più bisognosi? L’Unione europea insieme ad altri Paesi e la stessa la Cina (non pervenuti gli Stati Uniti di Donald Trump) hanno deciso di partecipare a COVAX, un’iniziativa sostenuta da diverse Onlus, governi e organizzazioni internazionali, nonché dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che ha come obiettivo quello di garantire la parità d’accesso al vaccino anti-Covid, fornendo circa 1 milione di dosi a 92 dei Paesi più poveri e 1 milione in più ai Paesi a reddito medio.

Anche se dovessero riuscire a trovare i finanziamenti necessari per garantire la fornitura di questi vaccini – cosa che per il momento non è accaduta – si tratta di un numero di dosi sufficienti soltanto per coprire il 20% della popolazione dei Paesi più poveri. Inoltre, ci sono diversi punti ancora da chiarire. Innanzitutto, i dettagli degli accordi economici in base ai quali verranno fornite le dosi del vaccino ai vari Paesi non sono noti. Anche se i Paesi più poveri li potranno acquistare a prezzi al ribasso, l’intero processo manca di trasparenza. Del resto, anche l’acquisto dei vaccini da parte dei Paesi europei non è stato limpidissimo: il prezzario è stato reso pubblico – per qualche minuto – quando un ministro belga lo ha pubblicato per errore su Twitter.

Infine, nei paesi in maggiore difficoltà economica, la distribuzione e la somministrazione delle dosi probabilmente procederà più lentamente rispetto al resto del mondo. Il New York Times ha fornito recentemente due esempi a riguardo: secondo le stime di TS Lombard, una società di ricerca con sede a Londra, l’India probabilmente non riuscirà a vaccinare tutta la popolazione prima del 2024. Il Sud Africa invece probabilmente dovrà aspettare fino al 2025.

Lo ha ribadito in conferenza stampa il 12 gennaio Pascal Canfin, eurodeputato francese che fa parte della direzione salute e sicurezza alimentare della Commissione che attualmente si occupa di portare avanti i negoziati con le compagnie farmaceutiche per conto dei Paesi membri. «Il problema di fondo è la tabella di marcia, la tempistica con cui verranno consegnate le dosi – dichiara Canfin -. Se cominceremo a vaccinare le persone nel resto del mondo soltanto dopo che avremo finito di vaccinare gli europei, politicamente non potrà funzionare. Lo stesso vale al contrario, ovvero se mandiamo le dosi anticipatamente, mentre l’epidemia dilaga ancora in Europa e la copertura è ancora troppo bassa. Difficile trovare un equilibrio – è su questo che dobbiamo ancora lavorare».

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