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L’esperto Tosi: «Scuole chiuse per le varianti? Solo un alibi per la cattiva gestione. Sbagliato riaprire ora» – L’intervista

Il governo lavora alla ripartenza dopo Pasqua. Il professore all'Università dell'Insubria e alla Bocconi, autore di uno studio sull'impatto della didattica in presenza: «Continuare a dire che è sicura è irrispettoso nei confronti dei ragazzi e di tutto il personale scolastico»

«Continuare a dire che le scuole sono sicure è irrispettoso nei confronti dei ragazzi e di chi ci lavora ogni giorno. E nascondersi dietro le varianti non ci porterà da nessuna parte». Davide Tosi è professore all’Università dell’Insubria e professore aggiunto alla Bocconi di Milano. Esperto di analisi dati e di big data, è autore di uno studio realizzato in merito all’impatto delle scuole nei mesi del Coronavirus. Ora che il premier Mario Draghi ha annunciato di voler dare priorità alla riapertura delle scuole dopo Pasqua, viene da chiedersi cosa sia cambiato rispetto ai primi giorni di marzo, quando gli stessi edifici erano stati dichiarati non sicuri a causa della variante B117. La risposta, per Tosi, è facile: assolutamente nulla.

«Dall’estate fino a oggi, è stato usato lo slogan delle scuole sicure per non intervenire seriamente», spiega. «Perché è ovvio che se le scuole sono sicure per definizione, allora non bisognerà far nulla. E invece ancora oggi abbiamo aule piccole ed edifici inadatti e non ci sono sistemi di ventilazione artificiali per prevenire i contagi. In queste condizioni dire che bisogna tornare a ogni costo è irrispettoso per i ragazzi e chi nelle scuole ci lavora». Irrispettoso, dice, nei confronti sia della salute delle famiglie degli studenti – i quali potrebbero essere portatori inconsapevoli del virus -, sia nei confronti dei professori, dei presidi e degli operatori scolastici che per tutta l’estate si sono impegnati ad adattare al meglio le classi senza una visione d’insieme efficace.

Tosi: «Dati allineati con il periodo pre-varianti»

Lo studio prende in considerazione gli unici dati corposi resi disponibili dal Ministero dell’Istruzione, e cioè quelli dal 14 settembre al 30 ottobre (il periodo precedente alle chiusure per colori). Mettendoli a confronto con l’andamento dell’epidemia nei mesi appena precedenti e appena successivi, il ricercatore ha notato che «l’impatto delle scuole sulla curva dei contagi era evidente anche senza le varianti». Come sottolinea Tosi, già ad agosto aveva elaborato un modello predittivo che mostrava cosa sarebbe successo a settembre con l’apertura delle scuole, e «che si è poi rivelato corretto».

Lo stesso modello è stato poi applicato ai dati di contagio attuali – condizionati, cioè, dalla diffusione della B117 sul territorio italiano. «Quello che abbiamo riscontrato è che, almeno in Italia, i numeri continuano ad essere perfettamente allineati a quelli che osservavamo prima delle varianti. Il che ci porta a una sola conclusione: ci siamo appoggiati alle mutazioni del virus per poter giustificare la chiusura delle scuole, causata invece dall’incapacità di metterle in sicurezza».

Eppure, la decisione di riaprire le scuole a settembre era stata approvata dallo stesso Comitato tecnico scientifico, che aveva lavorato per tutta l’estate a stretto contatto con il Ministero della Salute. L’impressione – confermata anche da un membro del Cts a Open lo scorso agosto – è che la linea sia stata più politica che tecnica. «Nonostante l’evidenza scientifica, gli esperti sono stati mossi da esigenze politiche», sottolinea Tosi. «Perché come si può pensare che degli spazi di 20 metri quadri con dentro 20 bambini non siano luoghi di contagio come gli altri?».

Gli studi sull’autunno e il caso Campania

Per Tosi, dunque, che di figli ne ha due, è abbastanza chiaro: «I dati ci dicono che le scuole, così come sono organizzate, non sono sicure». Nello studio emergono anche alcuni focus regionali, che dimostrerebbero come già sulla base dell’autunno si potesse capire la necessità di fare di più sul piano scolastico. «Abbiamo visto che le Regioni che hanno ritardato l’apertura delle scuole sono riuscite, almeno in parte, a rallentare i contagi e a mantenere un Rt medio più basso e più a lungo», spiega il professore. Su tutti spicca il caso della Campania, una delle amministrazioni che ha applicato le restrizioni più forti, che a ottobre «ha avuto l’indice Rt regionale più basso in tutta Italia».

Cosa significa tutto questo? Non certo che le scuole siano più pericolose degli altri luoghi d’aggregazione. Vuol dire piuttosto che bisogna trattarle esattamente allo stesso livello degli altri spazi a rischio. La scuola non procede con regole diverse solo perché vogliamo che sia così: senza interventi massicci, non si potrà parlare di scuole sicure: «È chiaro che non è colpa della scuola se abbiamo registrato un aumento dei contagi – sottolinea Tosi – ma di tutti gli ambienti di aggregazione mal gestiti, come anche le attività produttive e commerciali. Tornati dalle vacanze pensavamo che fosse tutto finito e si è voluto sottovalutare il problema. Beh, questo è il risultato».

Immagine di copertina: ANSA/MATTEO CORNER

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