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Tutti i motivi per cui l’Ema non approva ancora i vaccini prodotti fuori dall’Occidente

27 Marzo 2021 - 08:46 Juanne Pili
Anche Russia, Cina e Cuba hanno il loro vaccino, ma è difficile avere sufficienti dati per sondarne l'efficacia

Sui vaccini contro il nuovo Coronavirus attualmente distribuiti o in attesa di approvazione, realizzati nei Paesi democratici occidentali, abbiamo ormai parecchie informazioni. In Europa quelli approvati dall’Ema sono quattro, quelli delle case farmaceutiche Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Johnson & Johnson. Non siamo però gli unici a produrli. Da Russia, Cina e Cuba giungono informazioni riguardo a vaccini la cui efficacia e sicurezza sarebbe stata comprovata nelle fasi più avanzate della sperimentazione, per quanto sia difficile in diversi casi andare a vedere concretamente i dati.

Anche Iran e India hanno annunciato il proprio vaccino. Su questi ultimi i dati sono ancora più incerti. Fatta eccezione per alcuni vaccini prodotti in Cina, dobbiamo constatare che spesso la concomitanza di aspirazioni concorrenziali rispetto alle democrazie occidentali sembrano avere la meglio sui dati scientifici concreti, mettendo in difficoltà gli stessi esperti che vorrebbero saperne di più. Per capire meglio come si sviluppa tutta la fase di sperimentazione, vi lasciamo qui la nostra Guida ai vaccini anti-Covid.

Sputnik V

Il vaccino sviluppato dal Centro Gamaleya e dal fondo sovrano Rdif (Russian Direct Investment Fund), denominato Sputnik V in memoria del glorioso passato della Russia sovietica, sembra risentire ancora della pressione nazionalista e propagandista di Mosca. Utilizza due vettori virali. Questi virus incapaci di infettare gli umani, sono in grado di trasportare un frammento di DNA contenente le informazioni per produrre gli antigeni di SARS-CoV-2. Ovvero le glicoproteine Spike (S), il mezzo con cui il virus infetta le cellule ed è riconoscibile dal nostro Sistema immunitario.

Lanciato in pompa magna la scorsa estate, era salito agli onori della stampa come un vaccino pronto a essere somministrato, avendo superato le fasi più avanzate della sperimentazione. Cosa che guardando i numeri riportati nei comunicati dal Cremlino, non sembrava affatto.

Dovremo aspettare il 26 settembre 2020 per leggere su The Lancet i risultati dello studio di fase 1/2 sul vaccino russo. Tutto chiarito? No, anzi secondo alcuni esperti le cose potrebbero essere addirittura peggiorate. Il maggiore problema è che Gamaleya sembra in difficoltà nel rendere consultabili i dati primari su cui si fonda lo studio. Ne sanno qualcosa i 40 scienziati che assieme al professor Enrico Bucci, noto esperto in revisioni scientifiche, hanno sottoscritto una lettera pubblicata sul sito di Bucci, Cattivi Scienziati e rilanciata anche da Nature.

«Molti hanno osservato – continua Bucci – che lo studio è condotto su un numero insolitamente piccolo di volontari. In realtà, si tratta di due studi indipendenti, condotti su due formulazioni diverse – una in soluzione e una liofilizzata – dello stesso vaccino, ciascuna sperimentata su solo 20 volontari: davvero un campione poco significativo per trarre conclusioni diverse da un incoraggiamento a continuare la sperimentazione».

Senza mai accusare di gli scienziati coinvolti, i colleghi guidati da Bucci chiedevano solo un accesso ai dati, in modo da chiarire diversi punti, che apparivano potenzialmente inesatti o alterati. Per tutta risposta si è scatenata una vera e propria macchina del fango, concentrata soprattutto verso lo scienziato italiano, reo – secondo alcune fonti vicine a Mosca – di occuparsi della review degli studi potenzialmente truffaldini o poco rigorosi, per professione. Del caso ci eravamo occupati in un precedente articolo.

Tutti questi limiti possono spiegare le ragioni per cui l’Ema esita a dare la sua approvazione? Diversamente dai Paesi che si trovano al di fuori dell’Unione europea e della Nato, esistono nel cosiddetto «mondo occidentale» dei precisi enti regolatori – come il già citato Istituto europeo che vigila sulla sicurezza dei farmaci – i quali devono attenersi a rigide procedure per valutare i dati e concedere la libera distribuzione dei vaccini.

A volte queste misure possono causarne il blocco temporaneo, persino se non esistono conclamate prove di un collegamento tra il farmaco e presunti eventi avversi. Lo abbiamo visto recentemente con AstraZeneca. Dei meccanismi legittimi alla base di tutto questo avevamo trattato in una precedente intervista all’avvocato penalista Michele Maria Gambini. 

Qualcosa intanto sembra muoversi. In Campania ci si prepara già a ricevere le prime dosi dello Sputnik, il quale attende gli esiti della rolling review in corso da parte dell’Ema, dal cui esito dipenderà la decisione di Aifa. Anche altri Paesi europei come la Germania sarebbero in attesa di poter ricevere le prime dosi del vaccino russo.

Qualche indiscrezione la abbiamo, e non sembra incoraggiante. Basti pensare alle recenti affermazioni del commissario europeo Thierry Breton, incaricato per i vaccini. Differentemente da come piace presentare la situazione a Mosca, forse saremo noi ad aiutare prossimamente la Russia, colta in difficoltà nella produzione dello Sputnik.

«Priorità ai vaccini prodotti sul territorio europeo. Non abbiamo assolutamente bisogno dello Sputnik V – continua il Commissario – I russi hanno difficoltà a produrre il [vaccino] e noi li aiuteremo nel secondo semestre se ne avranno bisogno».

Al momento si parla di una apertura di tipo sperimentale. Secondo quanto riportano le Agenzie di stampa, «l’Istituto Spallanzani di Roma sta per stipulare un primo accordo per una sperimentazione in forma scientifica del vaccino Sputnik». L’idea di base infatti dovrebbe essere quella di mettere subito in circolazione quanti più vaccini possibile – purché funzionino – non quella di usare il proprio vaccino per farsi più belli sui tavoli internazionali. Non ce lo possiamo permettere. 

Della «strana frenesia dello Spallanzani per produrre lo Sputnik» ha trattato recentemente lo stesso Bucci, in un articolo del 9 marzo su Il Foglio. Lo Sputnik è stato infatti accolto già in altri Paesi come l’Argentina, da cui proverrebbero dati incoraggianti. Si parlerebbe già di anticorpi nel 100% dei vaccinati. Tuttavia, osservando i dati argentini, scopriamo che quelli più significativi provengono da soggetti rivelatisi precedentemente positivi a SARS-CoV-2. Insomma, si suppone fossero già immuni prima di assumere la dose.

«Ma chi si è reso disponibile alla produzione, e su incarico di chi? E perché lo Spallanzani si muove come se avesse un ruolo di rappresentanza istituzionale, attraverso dichiarazioni come quelle elencate e molte altre? […] Sulla base di quali dati si decide di spingere persino Aifa, ricordando che l’autorizzazione può arrivare senza attendere Ema?», si chiede il Professore.

Sinovac, Sinopharm e CanSinoBio

Il vaccino cinese CoronaVac dell’azienda biotecnologica Sinovac utilizza una versione attenuata di SARS-CoV-2, dunque reso incapace di infettare, ma conservando la presenza degli antigeni. Per ottenere vaccini del genere servono grandi quantità di virioni (i virus considerati singolarmente), e una industria in grado di produrli garantendo le norme di sicurezza. 

Rispetto ai vaccini di ultima generazione che utilizzano frammenti di codice genetico, Sinovac ha un approccio più tradizionale, che gli permette di essere conservato nei frigoriferi a temperature che si aggirano tra i due e gli otto gradi Celsius. Questo, rende il farmaco più accessibile nei Paesi in via di sviluppo, che non possono permettersi di stoccare le dosi in refrigeratori più potenti. 

Lo studio di fase 1/2, apparso su The Lancet nel novembre scorso non dice molto. Si parla di 144 volontari testati nella prima fase e 600 nella seconda. Sono state fatte sperimentazioni di fase tre (la più avanzata prima della distribuzione) in diversi Paesi, con stime di efficacia che si aggirano tra il 65 e il 91%. Lo stesso governo di Pechino ne ha approvato l’uso prettamente emergenziale nel luglio scorso. Nuove verifiche, di cui abbiamo avuto informazioni a settembre, si basano su oltre mille volontari. I dati sono ancora preliminari. Al momento si parla di un vaccino «probabilmente efficace».

Degni di nota anche gli altri due vaccini prodotti in Cina: BBIBP-CorV della casa farmaceutica governativa Sinopharm e Convidecia della CanSinoBio. Il 2 marzo hanno ottenuto entrambi l’approvazione dell’ente cinese dei farmaci: il National Medical Products Administration (NMPA). Si tratta anche in questo caso di autorizzazioni a titolo emergenziale. 

Se il vaccino di Sinopharm si basa come Sinovac sull’inattivazione del virus, quello di CanSinoBio è invece il primo approvato in Cina che usa – similmente a quello di AstraZeneca – un adenovirus come vettore virale.

L’efficacia riscontrata finora a seconda dei Paesi in cui questi vaccini sono stati inoculati, si aggira tra il 79 e l’86% per il vaccino di Sinopharm. Dai dati emersi durante lo studio di fase 3 sul vaccino di CanSinoBio, basato su 40 mila volontari, questo sembrerebbe efficace al 90% nel prevenire le forme gravi di Covid-19. La percentuale scende al 68% nella prevenzione della malattia in forma lieve.

Soberana 02

È giunto ormai in fasse 3 la sperimentazione del vaccino cubano Soberana 02 (FINLAY FR 1A). Fa parte, assieme a Soberana 01, dello sforzo di Cuba contro il nuovo Coronavirus. Il vaccino si basa su una porzione dell’antigene, denominata RBD (Receptor Binding Domain), che si lega alle cellule da infettare, a sua volta riconoscibile dal Sistema immunitario, il quale può sviluppare così gli anticorpi per neutralizzare il virus vero e proprio. Ecco perché Soberana 02 viene definito come basato sul «RBD dimerico ricombinante».

Al momento abbiamo informazioni limitate, basate su dati che non risultano essere stati sottoposti a revisione da parte di altri esperti (peer review). Cuba sembra voler puntare tutto su un proprio vaccino, da distribuire forse anche agli altri Paesi Sudamericani.

Una scommessa non indifferente, visto che il Paese è fuori dal Covax, il piano creato dall’Oms per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad accedere ai vaccini anti-Covid. Al momento possiamo consolarci coi buoni auspici diffusi dal ricercatore italiano Fabrizio Chiodo, che ha partecipato alla ricerca sul vaccino cubano.

«[Cuba] è l’unico Stato dove un prodotto può andare dal laboratorio alla clinica per via totalmente pubblica. Faccio questo lavoro per gli altri, spinto da una forte etica. E Cuba mi permette di rispettare quello in cui credo – ha affermato Chiodo in una intervista al Sole 24 Ore – Io ho partecipato e partecipo al disegno, sviluppo ed analisi dei dati dei due candidati vaccinali contro SARS-CoV-2 del Finlay Institute Avana (a Cuba in totale ci sono quattro candidati vaccinali in clinical trial). Sono tutti vaccini a sub-unità della proteina “spike” dei virus, in una formulazione con adiuvanti».

Anche in questo caso però, l’idea di un mondo migliore e i buoni propositi idealisti non bastano. Un vaccino per essere approvato dall’Ema, o da Aifa in Italia, deve dimostrare coi dati di funzionare in sicurezza.

Foto di copertina: EPA/Tamas Vasvari HUNGARY OUT | A health worker administers the first dose of the Russian vaccine Sputnik V to a patient at Szent Gyorgy Training Hospital in Szekesfehervar, Hungary, 21 March 2021, as the vaccination with Sputnik V against Covid-19 continues in the country. 

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