Gang in tuta, criminalità paramilitare e Brexit: la tempesta perfetta dietro gli scontri in Irlanda del Nord

Il paragone con i “Troubles” sembra essere per il momento improprio. Le tensioni del Paese nascondono traffici illeciti dei paramilitari e sfruttano i figli di anni di politiche inique

Le rivolte in Irlanda del Nord iniziano il 29 marzo scorso a Derry e coinvolgono per lo più giovani. In 40 seminano il panico e incendiano con molotov una vettura della polizia. La protesta si espande presto in altri centri abitati: dalla capitale Belfast a Carrickfergus, Ballymena, Newtownabbey: mezzo Paese prende fuoco. Il 7 aprile, gli scontri si inaspriscono intorno al Peace Lines di Belfast, il confine che separa i quartieri protestanti, leali alla Corona inglese, da quelli cattolici, per le due Irlande unite. In una settimana vengono feriti oltre 50 poliziotti e arrestate 10 persone in diverse città. Le posizioni formali dei governi sono nette. Il premier inglese Boris Johnson e quello irlandese Micheál Martin condannano le violenze. Il governo nordirlandese della conservatrice del Democratic Unionist Party, Arlene Foster, richiama all’ordine, invita i giovani a non partecipare ai tafferugli e chiede alle famiglie di controllare i propri figli. L’invito è sposato dai partiti del Parlamento. I disordini vengono descritti come «il peggiore evento degli ultimi anni».


Malgrado gli appelli, le rivolte tra giovani unionisti e polizia vanno avanti. Fotografi e reporter vengono attaccati. A Belfast, i tombini vengono divelti e le vetrine dei negozi ridotte in frantumi. Le immagini del lancio di una molotov su un bus di linea della capitale fanno il giro del mondo. Contro le Land Rover della polizia vengono lanciati mattoni. Gli scontri proseguono fino a notte fonda e i gruppi di unionisti provano a superare gli sbarramenti della polizia a Shankhill, quartiere protestante a ovest di Belfast, per raggiungere le zone cattoliche. La protesta lealista riaccende il fermento del funerale di Bobby Storey, esponente del Sinn Féin, partito repubblicano cattolico presente sia in Eire che in Irlanda del Nord. Nonostante il Covid, all’ultimo saluto del politico erano presenti 2mila persone, tra cui la vice-presidente irlandese Michelle O’Neill. La polizia conferma che ogni norma è stata rispettata e scagiona 24 dei presenti. Belfast chiede le dimissioni al capo della polizia Byrne, che le respinge. Gli unionisti gridano al double-standard. Da quel momento le manifestazioni degli unionisti riprendono con una frequenza maggiore ma non ancora in forma violenta. Per le strade dell’Irlanda del Nord si moltiplicano le parate militariste, con lo sventolio delle Boyne Standard, le bandiere arancioni degli unionisti che richiamano la vittoria dei protestanti nella gloriosa rivoluzione del 1795.


La storia e il ruolo politico

Il paragone tra i recenti scontri e i Troubles, la guerra civile tra unionisti protestanti e nazionalisti cattolici durata 30 anni e costata la vita a oltre 3.500 persone, è – al momento – improprio. Diversi media hanno parlato del ritorno a quel conflitto di un Novecento che non c’è più. Per i paramilitari unionisti l’odio religioso e i dazi della Brexit fungono da capri espiatori per il controllo del territorio, dei consensi e degli introiti illeciti. Durante le negoziazioni per la Brexit, si concorda la tutela del Good Friday Agreement del 1998. Con il processo di Brexit, Foster firma un protocollo per rimanere nel mercato unico dell’Ue con una dogana nel Mare d’Irlanda e promette libero scambio anche tra Belfast e Londra. Ma l’accordo con gli inglesi non arriva e i punti sottoscritti con Bruxelles lo impediscono. Monta il malcontento unionista: i rappresentanti si sentono lontani dalla Corona e traditi da Belfast. Graffiti anti-dogana compaiono nei porti principali, dove si chiudono indagini per assenza di prove per minacce ai lavoratori. A marzo, un gruppo unionista invia una lettera per l’appoggio di Boris Johnson.

Fonte: Bbc | Un graffito contro la dogana nel Mare di Irlanda a Belfast, febbraio 2021

Gang in tuta e traffici paramilitari

Oggi il Regno Unito e le due Irlande sono cambiate, anche nella sottocultura e nei cliché. Dal gentleman della City in bombetta e completo, negli anni Novanta si passa ai Chavs, come vengono chiamati con disprezzo i giovani delle periferie studiati da Owen Jones nel classico Chavs: The Demonization of the Working Class che spiega il ruolo di politiche inique. Con motivi diversi dai giovani unionisti di oggi, i Chavs anticipano il presente con le rivolte del 2011 a Londra e Manchester. I ragazzi nelle strade nordirlandesi sono maschi, figli under-30 di chi ha vissuto i Troubles, la Thatcher e la Terza via della Cool Britannia di Tony Blair. Chi non studia nelle grandi università soffre le disparità una volta dentro all’economia dei servizi. Per gli altri non c’è il numero di fabbriche attive del passato. Ma differenza dei Chavs, che cercano emancipazione attraverso beni di consumo, i ragazzi britannici e irlandesi delle rivolte in Irlanda del Nord indossano una tuta di felpa, divisa della nuova generazione al tempo della Brexit, al di là dello schieramento politico, del credo religioso e del successo dello streetwear.

Fonte: Bbc | Un gruppo di giovani lealisti lancia molotov contro mezzi di polizia a Belfast

L’unico legame tra quei giovani unionisti in tuta e i Troubles sta nella retorica di una parte della politica nordirlandese e nell’istigazione dei leader affiliati ai gruppi paramilitari unionisti, che i Troubles hanno vissuto dal lato lealista. Dietro la mobilitazione di giovani unionisti, c’è il benestare all’azione delle figure veterane delle varie organizzazioni unioniste, come l’Ulster Volunteer Force e l’Ulster Defence Association. Quest’ultima, in particolare, operante nell’area di South East Antrim, è stata oggetto di indagini e arresti eseguiti dalla polizia per traffico di sostanze stupefacenti. Negli anni il gruppo ha riversato il proprio sostentamento su canali di profitto illeciti anche con finalità di controllo del territorio, che secondo la polizia «estendono un sentimento di paura nelle comunità locali». Sono gli stessi analisti britannici a considerare gli scontri come un’opportunità per l’Uda di vincere il conflitto generato da una questione di odio etnico-religioso e politico nelle strade. Una sfida in cui il nemico cattolico rimane tale, ma è anche un accessorio speculativo al raggiungimento di uno scopo preciso.

Leggi anche: