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Obbligo vaccinale per medici e operatori sanitari: cosa è necessario sapere e cosa si rischia

13 Aprile 2021 - 18:27 Juanne Pili
Cosa comporta davvero il decreto legge che impone il demansionamento agli operatori sanitari che non si vaccinano

Con l’aiuto dell’avvocato del foro di Perugia Michele Maria Gambini, esperto di responsabilità penale nel settore medico, cercheremo di spiegare quali sono le reali implicazioni del decreto legge ormai in vigore, deciso dal governo di Mario Draghi, per imporre l’obbligo vaccinale a medici e operatori sanitari le cui mansioni sono strettamente legate alla gestione dell’emergenza sanitaria dovuta al nuovo Coronavirus. In rete troviamo già testi confezionati in maniera autorevole, dove il Dl viene criticato, elencando presunte violazioni della Costituzione, della Carta europea dei Diritti e delle Libertà Fondamentali, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, eccetera. Tutto questo, come vedremo, non trova alcun fondamento.

Differenza tra decreto legge (Dl) e decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm)

Il decreto legge, successivamente convertito in legge ordinaria, resterà in vigore fino al 31 dicembre 2021. Secondo l’articolo 77 della Costituzione dovrà essere convertito in legge dal Parlamento. Entro cinque giorni dall’entrata in vigore ogni ordine professionale interessato dovrà trasmettere gli elenchi dei suoi lavoratori – in ambito sanitario – alla Regione di riferimento. Questo potrebbe forse creare dei problemi dal punto di vista burocratico, ma i punti poco chiari sui quali cercheremo di far luce sono altri. Siamo stati abituati ad attendere con religiosa preoccupazione i vari Dpcm nel precedente governo. Ora parliamo di un decreto legge, il quale dovrà essere approvato, ma lo leggiamo già in Gazzetta ufficiale. «Parliamo del Dl 44/2021. Ed è pienamente in vigore, essendo stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale», conferma Gambini.

«Il decreto legge è una normativa d’urgenza molto più appropriata del Dpcm. Entra in vigore di fatto immediatamente ed è una fonte primaria del Diritto. Intanto il Parlamento dovrà convertirlo in legge ordinaria entro sessanta giorni. Il Dpcm al contrario – che Giuseppe Conte ha usato francamente a sproposito – è una fonte secondaria del Diritto, perché di natura amministrativa. Il Dl invece è di fatto una legge». «Probabilmente Conte non usava i decreti legge perché non era sicuro di poter contare nella sua stessa maggioranza. Tant’è vero che i Tar, in alcuni casi, hanno annullato l’applicazione dei Dpcm».

Questo Dl può essere considerato anticostituzionale?

Davvero un provvedimento motivato dall’esigenza di adeguare almeno gli addetti ai lavori ai piani vaccinali, rappresenterebbe una violazione dei diritti? Se così fosse, ci sembra curioso che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella non se ne sia accorto prima di firmare il provvedimento. «Effettivamente se un decreto legge fosse palesemente incostituzionale, il Presidente della Repubblica non lo firmerebbe nemmeno – continua l’avvocato -. Intanto viene varato in seno al Consiglio dei ministri. E come tutte le leggi deve essere firmato (quindi emanato) da Mattarella».

Nello stesso testo del Dl si citano, fin dall’introduzione, diversi articoli della Costituzione. «Sarebbe incostituzionale se obbligasse tutta la popolazione alla vaccinazione. Se invece viene fatto in maniera settoriale, come è successo con gli operatori sanitari, dato un prevalente interesse alla Salute pubblica, non vi sono violazioni della Costituzione». È successo qualcosa di simile tempo fa, con l’obbligo per certi vaccini destinati ai bambini. «Parliamo sempre di un prevalente interesse pubblico – conferma Gambini – per tutta la popolazione l’obbligo vaccinale resta invece molto complicato da attuare».

Il demansionamento previsto dal Dl vìola il codice civile?

Qualcuno invoca l’articolo 2103 del codice civile che non potrebbe essere annullato da un Dl. Questo in particolare garantisce al lavoratore di essere «adibito alle mansioni per le quali è stato assunto». «Secondo il decreto legge, se l’operatore sanitario o adibito a mansioni di interesse sanitario rifiuta di vaccinarsi deve essere trasferito a mansioni – anche inferiori – che non consentano il propagarsi del virus – continua l’avvocato – per esempio, un infermiere potrebbe essere spostato in un ufficio. In caso, con conseguente stipendio ridotto. Se non ci sono mansioni compatibili, o queste vengono rifiutate, l’operatore sanitario viene sospeso, e non prende un euro». Tutto questo fino al 31 dicembre 2021.

«Attenzione però: non avviene un demansionamento immediato – conclude Gambini -. Questo avviene se non ottempera a un obbligo di legge dovuto a un preminente e superiore interesse alla salute pubblica, proprio in quel genere di mansioni che sono in prima linea: i lavoratori nel settore sanitario. Ritengo quindi che non vi sia alcun conflitto con l’art. 2103 del codice civile». È il lavoratore stesso a creare i presupposti del potenziale demansionamento o della sospensione. «Non è un demansionamento imposto, bensì su scelta del lavoratore, che decide di non vaccinarsi. Viene così adibito a mansioni diverse, possibilmente sullo stesso piano delle sue competenze, e in loro mancanza anche inferiori. Nel diritto si parla in questi casi di “bilanciamento d’interessi”. Prevale l’interesse alla salute pubblica rispetto alle mansioni del lavoratore».

Foto di copertina: Ansa/Max Cavallari | Operatori sanitari, che indossano tute protettive mediche e mascherine, al lavoro nella terapia intensiva dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna, 12 novembre 2020. Ieri in Italia è stata superata la soglia dei 600.000 casi attualmente positivi, tra casi in isolamento domiciliare, ricoverati con sintomi e in terapia intensiva. Questo dato è importante perché, un’epidemia si definisce ‘fuori controllo’ nel momento in cui i positivi superano l’1% della popolazione e ieri, oltre ad aver sperato il milione di casi da inizio pandemia, in Italia è stato superata questa soglia di popolazione attualmente con infezione da Sars-Cov-2.

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