Quanto vale il partito di Fedez?

Il 27% degli intervistati che fanno parte della Generazione Z sarebbe contento di votarlo alle prossime elezioni, così come il 24% dei Millenial

«Chi viene eletto principe col favore popolare deve conservare il popolo come amico». Per quanto nella storia dell’uomo siano cambiate le manifestazioni del potere, certe dinamiche restano eterne. E così anche una citazione del Principe di Niccolò Machiavelli pubblicato nel 1532 può tornare buona per descrivere le ragioni del consenso attorno a un cantante nell’Italia del 2021. Swg ha pubblicato un sondaggio in cui viene chiesto a un campione di intervistati di dare un giudizio sul possibile ingresso in politica di Fedez.


I risultati fanno invidia a parecchie forze politiche che occupano Camera e Senato. Il 17% degli intervistati vede di buon occhio una candidatura di Fedez. Sia chiaro, nelle domande il cantante non viene accostato a nessun partito, si parla di una sua iniziativa indipendente. Scendendo nello specifico, il 12% degli intervistati pensa che il suo arrivo in politica «darebbe una ventata di novità». Il 5% invece è ancora più convinto, secondo loro «potrebbe avere un suo seguito se volesse fondare un nuovo partito».


SWG | I risultati del sondaggio sulla candidatura di Fedez

La percentuale cresce più si abbassa l’età. A barrare il nome Fedez sulla scheda elettorale sarebbero il 24% dei Millenial (1981-1996) intervistati e il 27% dei rappresentanti della Generazione Z (1997-2012). Il fronte dell’opposizione non è però indifferente. Il 56% del campione ha dato una risposta negativa al Vota-per-Fedez. Per il 36% degli intervistati non sarebbe un buon politico, il 20% invece ha paura che non riesca a concretizzare le sue idee. Laico il 27% degli intervistati che ha virato verso l’opzione «Non saprei». In tutto questo, meglio ricordarlo, Fedez non ha mai mostrato interesse a lanciarsi nella conquista di Palazzo Chigi.

Tutti i social del presidente

Esattamente come Chiara Ferragni, la storia di Fedez è anche la storia dei suoi social. Come da consiglio machiavellico, il cantante ha sempre curato il suo rapporto con il pubblico. Nel 2011 si è fatto notare con i primi video autoprodotti su YouTube. È cresciuto a suon di videoclip su questa piattaforma, raccontando anche tutti i retroscena della sua vita da artista emergente. (Provate a cercare Zedef Chronicles). Il suo FedezChanneL è stato il primo canale di un cantante a superare il milione di iscritti in Italia.

E ancora. Su Instagram è seguito da 12,5 milioni di follower, su Twitter (che usa) da 2,5 milioni, su Facebook (giusto un paio di post nel 2020) ancora da 2,5 milioni e su TikTok (sbarcato da qualche mese) da 4,2 milioni. Insomma, il lavoro quotidiano per «conservare il popolo come amico» c’è tutto. Per ultimo si è aggiunto anche Twitch, la piattaforma di live video che Fedez usa per raccontare ai suoi 422.177 follower i retroscena del mondo dello spettacolo, quando non è impegnato a giocare a Call of Duty con altri streamer.

Tra microfono e megafono: le incursioni politiche

La Legge Zan, i problemi della campagna vaccinale in Lombardia, i fondi per il S. Raffaele e quelli per sostenere i lavoratori dello spettacolo. Solo nell’ultimo anno Fedez, al secolo Federico Lucia, ha collezionato una lunga serie di incursioni nella scena politica, spesso condivise con la moglie Chiara Ferragni. Una tendenza a fondere musica e attualità che nei primi anni della carriera era ancora più marcata, e non solo per le collaborazione con il neonato Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo.

Nel 2014 l’allora senatore Carlo Giovanardi (Pdl) era diventato uno dei più accaniti sostenitori della linea dura contro le sostanze stupefacenti. Fedez non solo aveva preso parte a un furente scambio di tweet con il senatore per difendere la legalizzazione delle droghe leggere ma era arrivato a confrontarsi con lui in un dibattito televisivo. Ai tempi la discussione si era arenata. Quello che ha lasciato negli archivi della rete è un improbabile strofa rap in cui il senatore cerca di convincere i più giovani a non dare retta a Fedez. Citiamo solo l’incipit: «Ragazzo che mi ascolti, non ti far fregare. La droga non fa bene la droga ti fa male. C’è il rapper che si chiama Fede con la zeta. Con le sue canzoni si sente un po’ un profeta».

Lo spettacolo in Parlamento

Era il 2015. Dopo il secondo mandato di Giorgio Napolitano, le due Camere unite si preparavano ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Al quarto scrutinio, con 665 voti a favore venne eletto Sergio Mattarella ma prima di lui qualche voto finì anche nelle tasche di Giancarlo Magalli, conduttore televisivo diventato suo malgrado protagonista di migliaia di meme che lo vedevano già al Quirinale. Se Magalli però si era affacciato alla politica involontariamente e per scherzo, nei (quasi) 75 anni della Repubblica italiana sono stati parecchi gli artisti che si sono trasformati in politici.

Prendiamo solo la X Legislatura. Dal 1987 al 1992 nei corridoi della Camera del Deputati si potevano incrociare due dei più famosi interpreti della musica leggera italiana: Domenico Modugno e Gino Paoli. Modugno era stato eletto nelle liste del Partito Radicale, mentre Paoli in quelle del Partito Comunista. Arrivato in parlamento Paoli decise però di abbandonare il Pci e iscriversi al Gruppo Indipendente di Sinistra. In quegli stessi anni era arrivato alla Camera dei Deputati anche un giovane disc jockey. Aveva 30 anni, era riuscito a collezionare quasi 10 mila preferenze ed era stato eletto nelle liste del Partito Socialista di Bettino Craxi. Sulla scheda elettorale si faceva chiamare Virginio Scotti. Negli anni dopo avrebbe preferito Gerry.

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