Recovery plan, cosa succede dopo il via libera al Pnrr italiano

All’orizzonte del Recovery fund restano i nodi tra le richieste di flessibilità dei Paesi mediterranei e quelle di rigore nei conti di quelli del Nord Europa

Dopo mesi di drammi, veti incrociati e qualche crisi politica che ha tenuto con il fiato sospeso, tutti i paesi dell’Unione europea hanno ratificato il via libera al finanziamento del Recovery Fund, mentre la Commissione europea ha iniziato ad approvare i Recovery Plan consegnati a fine aprile. Superati gli ostacoli principali, le ultime fasi dell’attuazione del Next Generation EU stanno proseguendo con una certa tranquillità, in attesa di iniziare a erogare i fondi. Da qui a settembre dovrebbero essere trasferiti fino a 100 miliardi di euro, con le prime tranche attese a luglio. I primi cinque piani approvati dalla Commissione sono stati quelli di Spagna, Portogallo, Lussemburgo, Danimarca e Grecia; seguiti da quelli di Austria, Slovacchia e Italia. La settimana scorsa la presidente Ursula von der Leyen ha iniziato un tour nelle Capitali per consegnare personalmente i Recovery Plan, un tour che continua fino a domani.


L’intenzione della presidente è presentarsi al Consiglio europeo di giovedì e venerdì con i primi 12 piani «approvati». Le virgolette sono d’obbligo perché l’approvazione della Commissione è il penultimo passaggio, per il via libera definitivo manca l’approvazione del Consiglio, prevista entro luglio a un anno dal famoso vertice dei vertici. Ieri von der Leyen è stata a Vienna e a Bratislava, oggi sarà a Roma, per (ri)consegnare nelle mani premier Mario Draghi il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) nella suggestiva location degli studi di Cinecittà. Oltre ai Recovery Plan di Austria, Slovacchia e Italia, entro domani la presidente consegnerà i piani a Lettonia, Germania, Belgio e Francia. I paesi che hanno consegnato i piani dopo il 30 aprile aspetteranno qualche settimana in più, mentre Paesi Bassi, Malta e Bulgaria non hanno ancora consegnato niente.


Adesso il Recovery Fund esiste davvero

Tecnicamente è il 15 giugno 2021 la data ufficiale della nascita del Recovery Fund, quando la Commissione ha emesso le prime obbligazioni europee per finanziare il fondo del NGEU, raccogliendo 20 miliardi attraverso titoli a scadenza decennale. A luglio sono previste altre due emissioni analoghe, entro la fine dell’anno Bruxelles prevede di raccogliere circa 80 miliardi di euro in obbligazioni, da integrare con i buoni dell’Ue a breve termine. 

Un indebitamento che segna un momento storico

Il tono celebrativo della consegna dei Recovery Plan «approvati» è sopra le righe, la Commissione – e von der Leyen come leader – punta tantissimo su questo momento per rilanciare la propria immagine, e far dimenticare i problemi e le polemiche per l’approvvigionamento di vaccini della prima parte dell’anno. Ciò nonostante, il momento va effettivamente riconosciuto come un passaggio storico. Fino a un anno fa nessuno avrebbe creduto possibile un impegno come quello del Recovery Fund: da una parte per aver convinto la Germania e i paesi frugali (Paesi Bassi, Austria, Danimarca, Svezia e Finlandia) ad accettare di «garantire» e mettere in comune un debito con i paesi del Sud dell’eurozona (Francia, Italia, Portogallo, Spagna e Grecia), dall’altra per aver portato i paesi del Sud ad accettare un controllo diretto e vincolante su come saranno attuati i piani di rilancio. 

La quiete prima della tempesta?

L’obiettivo dichiarato di Francia, Italia e Spagna è preparare gli altri all’idea di rendere permanente il debito comune, nonostante i frugali abbiano accettato il Recovery Fund con la promessa che rimanga uno strumento una tantum, da non replicare assolutamente. In gioco ci sono il futuro degli strumenti finanziari dell’Ue e le regole sui vincoli di bilancio. La partita è aperta, la quiete della fase finale prima del lancio del Recovery potrebbe essere seguita da una tempesta, questo momento è l’inizio di mesi e anni molto interessanti, in cui gli Stati membri avranno un forte incentivo a osservare con attenzione l’attuazione del Recovery Plan degli altri. L’Italia in quanto maggiore beneficiario e grande contraddizione dell’eurozona è l’osservato speciale, per il momento forse è solo la presenza di Draghi a garantire il Recovery italiano di fronte all’Europa, come rivendicato da premier stesso. Se il programma di riforme e investimenti approvato nel Pnrr non venisse rispettato, la questione verrà sollevata e discussa a Bruxelles, con il rischio concreto che l’inadempienza cronica porti a un blocco parziale o totale dei trasferimenti.

Tuttavia, la vera natura del Recovery Fund la scopriremo quando sarà chiaro fino a che punto arriva la determinazione di tedeschi e frugali nel controllare nel dettaglio come saranno investiti i fondi, se sono disposti a tollerare e lasciar correre le storture o se vorranno davvero aprire conflitti dalle conseguenze politiche incalcolabili. Dal punto di vista dei frugali, un successo modesto e pieno di ombre del Recovery Fund sarebbe l’argomento migliore per chiudere l’esperienza e consegnarla al passato. Un fallimento che l’Italia non si può permettere.

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