Tutti i muri abbattuti da Raffaella Carrà: perché grazie a lei oggi siamo tutti più liberi

La regina della televisione italiana, morta a 78 anni, lascia in eredità il segno tipico di una rivoluzionaria

Nelle ore in cui il mondo piange la regina della televisione italiana ricordando i suoi programmi di successo, le sue canzoni e le sue coreografie, l’eredità di Raffaella Carrà lascia il segno tipico di una rivoluzionaria. Il caschetto biondo, quasi sempre accompagnato da un sorriso altrettanto luminoso, ha saputo negli anni abbattere alti muri di pregiudizio scegliendo sempre il modo più semplice e allo stesso tempo coraggioso per farlo. Un ombelico, un tormentone che spinge tutti a toccarsi, il testo spensierato di una canzone sull’omosessualità. Scandalo, censura, indignazione dei vertici, Raffaella riusciva a superarle tutte, comparendo ogni volta più forte davanti a un pubblico che non ha mai smesso di amarla.


L’ombelico rivoluzionario

Nell’Italia conservatrice degli anni ’70 nessuno poteva immaginare quello che sarebbe successo durante la prima sigla di Ma Che Musica Maestro. Il crop top con cui Raffaella Carrà comparse davanti le telecamere della televisione di Stato fece scoppiare uno degli scandali più ricordati nella storia dello spettacolo. Il top che arrivava poco più giù del seno lasciava scoperto l’ombelico di Raffaella, una scena mai vista prima di quel momento in tv. Né il Vaticano né i vertici democristiani della Rai riuscirono però a bloccarla. Un anno dopo Raffaella tornò con quello che sarebbe diventato uno dei più famosi tormentoni della musica italiana, anche in quel caso simbolo di emancipazione e rottura degli schemi.


Il Tuca Tuca, molto più di un tormentone

Portato in tv per la prima volta nel 1971, durante la trasmissione Canzonissima, il Tuca Tuca ballato da Raffaella Carrà insieme al ballerino Enzo Paolo Turchi, fece il verso alle regole rigide della televisione pubblica di allora. Ammiccamento e trasgressione, il successo del Tuca Tuca esplose facendo divertire milioni di italiani che dal giorno dopo ballavano il tormentone. Una vera grana da risolvere per la Rai a tal punto che per continuare a cantare e a ballare il Tuca Tuca e sfuggire alla censura, ci fu il bisogno dell’intervento del grande Alberto Sordi. Con proverbiale ironia l’attore sdrammatizzò le movenze sexy di quel ballo visto come scandaloso. La minaccia di una censura non toccò Raffaella che nel corso di tutta la sua lunghissima carriera continuò a ballare e far ballare a chiunque un tormentone diventato ormai anche simbolo di libertà.

L’emancipazione femminile

Non a caso il Guardian ha definito Raffaella Carrà come «la popstar italiana che ha insegnato all’Europa la gioia del sesso». I testi allegri e spensierati di gran parte del suo repertorio hanno per la prima volta fatto cantare alle donne la libertà di vivere una sessualità appagata e consapevole. «A far l’amore comincia tu» e ancora «Tanti auguri a chi tanti amanti ha» sono solo alcuni degli esempi della rivoluzione artistica e culturale operata in un’Italia rigida e composta o nella Spagna post-franchista che la accolse a braccia aperte. Con Raffaella Carrà le donne hanno potuto cantare a squarciagola desideri fino a quel momento tenuti nascosti, avendo un’alleata in più dalla loro parte.

Icona gay contro tutti

L’Italia cattolica del 1978 si trovò a fare i conti con Luca, la canzone che Raffaella Carrà inserì nel suo album “Raffaella” dello stesso anno. L’omosessualità veniva raccontata in modo spensierato e leggero, abbattendo i tabù e i pregiudizi che dilagavano sull’argomento. Non ci volle molto prima che la showgirl divenne un’amatissima icona gay internazionale. La facilità con cui oggi la musica italiana può affrontare il tema del piacere sessuale e della sessualità in generale si deve anche a Raffaella, pioniera di un progresso, prima che artistico, culturale.

«Voto comunista sempre»

Nel giugno 1977 la rivista Interviú pubblicò nel suo 55esimo numero un’intervista a Raffaella Carrà titolata con una citazione della stessa artista: «Io voto sempre comunista». Quella pagina scansionata circola ancora oggi sui social network come un documento sorprendente soprattutto per il contesto in cui fu pubblicata. La tv pubblica allora nelle mani della Democrazia Cristiana aveva tra i suoi volti più noti un personaggio dichiaratamente schierato con l’opposizione.


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