«Li aiuteremo, ma a casa loro»: tra i Paesi Ue cresce il fronte intransigente sui migranti afgani

Austria, Danimarca e Repubblica Ceca: «La questione deve essere risolta nella regione». La Germania: «Quote di rifugiati? Parlarne è dannoso, innesca un effetto calamita»

Aiutare i civili afgani sì, ma a casa loro. Questa, in sintesi, la linea che prende piede all’interno del Consiglio straordinario Ue sulla crisi di Kabul e i suoi risvolti a livello migratorio. «Il messaggio più importante da inviare è restate là, e sosterremo la regione affinché vi aiuti», ha detto il ministro dell’Interno austriaco, Karl Nehammer, in una dichiarazione congiunta con i colleghi di Repubblica Ceca, Jan Hamacek, e Danimarca, Mattias Tesfaye, a margine del Consiglio straordinario Ue. «Siamo pronti ad aiutare, ma la questione deve essere risolta nella regione. Non vogliamo alimentare speranze che non possono essere soddisfatte», ha detto il ceco, esprimendo apprezzamento per la bozza di dichiarazione finale. «Non dobbiamo fare gli stessi errori del 2015», ha aggiunto il danese. «I confini sono molto importanti», ha continuato il ministro danese, «questo elemento è mancato nel 2015. Non possiamo criticare i Paesi che stanno sostenendo i confini europei come fatto nel 2015» ha concluso esprimendo sostegno a Lituania, Bulgaria, Grecia, Ungheria, Spagna e gli altri Paesi europei «che stanno rafforzando e garantendo i nostri confini comuni». 


La Francia, da parte sua, ha detto di volere seguire «il modello siriano-turco». «È un buon modello per i rifugiati e la Francia chiede di continuare con questo metodo nel contesto della crisi afgana» ha detto Gerald Darmanin, ministro dell’Interno. «Abbiamo ancora in mente tutti i problemi che ha avuto l’Europa nel 2015 per essersi fatta trovare impreparata». Il ministro degli Interni tedesco, Horst Seehofer, ha aggiunto: «Non credo sia molto saggio parlare di numeri, perché i numeri ovviamente innescano un effetto calamita e non lo vogliamo».


Il vicepresidente della Commissione: «Lavorare con i Paesi vicini»

Il vicepresidente della Commissione europea, Margaritis Schinas, ha detto: «Con tutta la comunità internazionale, l’Onu, il G7, il G20, dobbiamo mettere insieme risorse per costruire capacità e sostegno più vicino all’Afghanistan. Dobbiamo lavorare con i Paesi del vicinato. Così limiteremo anche il margine dei trafficanti di produrre grossi movimenti di profughi alla nostra frontiera esterna». La commissaria europea agli affari interni, Ylva Johansson, ha aggiunto: «Dobbiamo evitare una crisi umanitaria, una crisi dei migranti e minacce alla sicurezza. Dobbiamo agire tutti insieme ora e non aspettare di avere grandi flussi migratori alle nostre frontiere, o terroristi più forti; è possibile evitare una situazione come quella del 2015, ma occorre agire per sostenere la gente in Afghanistan e nel vicinato, e lavorare con le organizzazioni internazionali».

In questo contesto, una voce fuori dal coro è quella del lussemburghese Jeans Asselborn: «Non possiamo prendere tutti, ma possiamo accettarne un certo numero. Possiamo almeno aprire la porta, affinché la Commissione possa fare delle proposte». Asselborn ha chiarito di non essere d’accordo con la bozza della dichiarazione finale dell’incontro. «Mi batterò perché si possa stabilire un legame con quanto affermato dal G7. Anche noi nell’Ue possiamo attivare programmi per tornare a dare speranza. Il Regno Unito accoglierà 20 mila profughi. Anche l’Ue deve dare un segnale».

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