Uno studio dello Spallanzani «demolisce» il Green pass? No, i suoi dati confermano quanto sappiamo già

La ricerca, ripresa da La Verità, non mette affatto in discussione l’utilità della certificazione verde. I dati, per quanto limitati, la confermano ulteriormente

Il quotidiano La Verità riporta i risultati di uno studio dell’Istituto Lazzaro Spallanzani, finanziato dal ministero della Salute, descrivendolo come la ricerca che «contraddice in toto la politica del governo: i vaccinati possono riprodurre virus “vitale” proprio come i non protetti. Quindi il lasciapassare non serve». Secondo questa narrazione, la ricerca dimostrerebbe che non c’è differenza tra chi è positivo al nuovo Coronavirus, con o senza vaccini, in merito alla capacità di contagiare, rendendo inutile il Green pass. Abbiamo letto lo studio.

LaVerità | Prima pagina dell’edizione del 29 settembre 2021.

Per chi ha fretta:

  • Lo studio è osservazionale e riguarda una quota molto piccola di persone potenzialmente contagiose anche se vaccinate.
  • Il Green pass è pensato anche in ragione della piccola percentuale di persone che pur vaccinate potrebbero ammalarsi e trasmettere il virus.
  • Lo studio non mette in discussione il fatto che sia più probabile essere contagiosi senza il vaccino, e il fatto che generalmente i vaccinati se infetti non hanno la stessa carica virale dei non vaccinati.

Analisi

Innanzitutto parliamo di un preprint, ovvero uno studio in attesa di revisione. Abbiamo già visto quanto sia rischioso lanciare titoli forti sulla base di paper che ancora non sono stati del tutto verificati. A prescindere da questo, lo studio è compatibile con la politica del Green pass. Un articolo de Il Secolo d’Italia, riprendendo quello de La Verità, riporta alcuni passaggi dell’abstract (il sunto introduttivo presente solitamente nelle pubblicazioni scientifiche), tralasciandone altri:

«I nostri dati mostrano che gli individui vaccinati che si infettano dopo la vaccinazione, sebbene rappresentino una piccola percentuale della popolazione vaccinata (0,3% nel nostro contesto), possono portare elevate cariche virali nel tratto respiratorio superiore, anche se infettati molto tempo dopo la seconda dose; cioè quando avrebbe dovuto essere sviluppata l’immunità correlata al vaccino».

«Abbiamo dimostrato per la prima volta che il virus infettivo può essere coltivato da Nps (tamponi nasofaringei, ndr) raccolti da individui vaccinati sia asintomatici che sintomatici; suggerendo che potrebbero essere in grado di trasmettere l’infezione a persone suscettibili e potenzialmente far parte delle catene di trasmissione».

Il Secolo d’Italia | Il titolo sullo studio che farebbe a pezzi il Green pass.

Le parti dello studio che sono state escluse dalla narrazione

Manca del tutto il contesto, quello di 94 pazienti del Lazio risalenti al primo trimestre del 2021, tutti vaccinati con almeno una dose di Pfizer. Ecco le parti dell’abstract che Il Secolo tralascia (il grassetto è nostro):

«I vaccini contro il coronavirus 2019 (COVID-19) si stanno dimostrando molto efficaci nella prevenzione di malattie gravi; tuttavia, sebbene rare, sono state segnalate infezioni post-vaccino – scrivono gli autori nelle prime righe dell’abstract – La carica virale mediana alla diagnosi era indipendente dal numero e dal tempo di somministrazione della dose di vaccino, nonostante la maggiore proporzione di campioni con bassa carica virale osservata in individui completamente vaccinati».

Tutto questo i ricercatori lo scrivono poco prima dei passaggi riportati da Il Secolo. Se non si tiene conto di tutto questo, è facile fraintendere il resto. Per esempio, troviamo informazioni interessanti anche nel paragrafo dedicato ai limiti dello studio, verso la fine del documento:

«Lo studio era osservazionale basato su dati di vita reale ottenuti da attività di sorveglianza pandemica, finalizzato non a stabilire l’efficacia del vaccino rispetto a un gruppo di controllo non vaccinato abbinato, ma a riportare una caratterizzazione virologica di quei pazienti segnalati con infezione da SARS-CoV- 2 nonostante siano stati vaccinati».

«Pertanto, la nostra osservazione dovrebbe essere replicata ed estesa su coorti più ampie stabilite ad hoc e ad altre formulazioni di vaccini. Inoltre, non erano disponibili campioni di follow-up per gli individui infetti post-vaccinazione, per cui non era possibile monitorare le cariche virali e la diffusione del virus infettivo. Inoltre, come descritto sopra, lo stato anticorpale pre-infezione era disponibile solo per pochi pazienti».

Conclusioni

L’idea dei vaccinati con carica virale uguale a quella dei non vaccinati deriva da un fraintendimento, per esempio delle affermazioni di Anthony Fauci, che avevamo esaminato in un precedente articolo. Come spiegano gli stessi ricercatori dello Spallanzani, i casi di vaccinati infetti, nel piccolo gruppo considerato dai ricercatori corrispondono allo 0,3%. Di questi una parte potrebbe presentare alta carica virale ed essere quindi contagiosi.

Com’è noto – e già visto in un nostro recente articolo sul caso del docente americano non vaccinato che ha contagiato due classi in una scuola elementare – l’obiettivo del Green pass non è proteggere solo chi non si vaccina, ma anche quella minoranza di persone che non sono nelle condizioni di potersi vaccinare, per limiti di età o di salute, e infine quella minoranza che pur vaccinata non risponde adeguatamente al vaccino. Nessuno infatti garantisce una protezione del 100%.

Ecco perché quando si parla più in generale di immunità di gregge – specialmente per la Covid-19 – intendiamo una situazione ottimale in cui la bassa probabilità di incontrare soggetti infetti e non vaccinati (quindi con più alta probabilità di contagiare) rende anche più efficiente la vaccinazione.

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