Cosa sappiamo della ricerca sui Coronavirus a Wuhan finanziata dagli americani

La lettera dell’NIH, relativa alle accuse rivolte dai repubblicani a Fauci, mette in luce le attività svolte a Wuhan, che non riguardano Sars-Cov-2

Una lettera del National Institutes of Health, in risposta alle richieste di chiarimenti da parte del Partito repubblicano, conferma quanto Anthony Fauci aveva affermato nel luglio scorso in un’audizione al Congresso degli Stati Uniti, quando il senatore Rand Paul lo accusò di mentire al popolo americano perché avrebbe negato che la Sanità americana aveva finanziato nel periodo 2018-19 degli esperimenti di gain-of-function (GOF, ovvero dei «guadagni di funzione») nell’Istituto di virologia di Wuhan, consistenti nel potenziare dei Coronavirus. L’allusione del senatore era riferita al fatto che il virologo e il suo istituto possano essere stati complici della fuga del SARS-CoV-2 dal laboratorio di Wuhan.


Fauci in quell’occasione rispose piccatamente a Paul, accusandolo di non sapere di cosa stesse parlando, rispedendo al mittente le accuse di aver mentito. A quanto pare qualcosa di storto accadde sul serio, ma niente che fosse previsto dal protocollo sperimentale approvato dal NIH e condotto a Wuhan dalla associazione no profit americana EcoHealth Alliance, beneficiaria dei finanziamenti. Nella lettera firmata da Lawrence A. Tabak leggiamo che il progetto Grant R01AI110964 riguardava Coronavirus già esistenti in natura e geneticamente molto distanti da SARS-CoV-2. 


Cosa è successo

Nel primo documento a cui fa riferimento Tabak risulta che i ricercatori stessero studiando il legame delle proteine Spike coi recettori ACE2 umani nei topi. L’esperimento implicava quindi l’ingegnerizzazione delle cavie utilizzate e dei virus: per lo scopo le cavie vennero infettate col Coronavirus dei pipistrelli WIV-1. Ma questo non basta per parlare di GOF.

In quanto tale, la ricerca non è stata soggetta a revisione dipartimentale. Queste misure richiederebbero una revisione secondaria per determinare se gli obiettivi della ricerca dovrebbero essere rivalutati o dovrebbero essere messi in atto nuove misure di bio-sicurezza.

Lo studio rientrava nei limiti imposti dall’Istituto americano, al fine di non compiere guadagni di funzione su patogeni che avevano dimostrato di infettare l’uomo e di essere potenzialmente pandemici. Qualcosa è andato storto, senza conseguenze nelle persone: il virus inoculato divenne più infettivo. Il vero aspetto controverso della vicenda è il fatto che l’incidente non sia stato prontamente segnalato al NIH. Continua Tabak:

EcoHealth non è riuscita a segnalare immediatamente questo risultato, come richiesto dai termini della sovvenzione. A EcoHealth è stato notificato che ha cinque giorni da oggi per presentare all’NIH tutti i dati non pubblicati relativi agli esperimenti e al lavoro condotto.

In un secondo documento, l’Istituto fornisce una comparazione dei Coronavirus studiati dal 2014 al 2018 con altri noti. I patogeni più vicini a SARS-CoV-2 (RaTG13 e BANAL-52) hanno una corrispondenza del 96-97%. Onde evitare che i Repubblicani saltassero a conclusioni affrettate, l’autore ha concluso precisando che si tratta della stessa vicinanza genetica tra noi e gli scimpanzé. 

È pacifico che quegli esperimenti non potessero essere considerati GOF. Per tanto, risulta che Fauci non abbia mentito. Secondo gli standard, si è trattata di una ricerca che riguardava virus chimerici di pipistrelli conosciuti per non essere in grado di infettare gli esseri umani. Valutato ciò, l’NIH autorizzò l’esperimento di EcoHealth. Quest’ultima potrebbe aver violato gli accordi, non comunicando all’Agenzia sanitaria un aumento di patogenicità, che fino a oggi ha messo in pericolo diversi topi.

Cosa dice il report dei servizi segreti americani

L’intelligence americana, rappresentata dall’Intelligence council (IC), ha pubblicato infine un report in cui si riconosce che l’origine più probabile di SARS-CoV-2 sia dovuta a una piccola esposizione iniziale avvenuta non oltre novembre 2019, essendo emersa il mese successivo a Wuhan, in Cina. Non sussistono evidenze riguardo a una sua origine come arma biologica, né risulta che le autorità cinesi fossero al corrente del virus prima della comparsa del focolaio originale. Rimane aperta, secondo le agenzie di intelligence americane, l’ipotesi che il virus possa essere associato a una fuga di laboratorio

Gli analisti dell’Intelligence non sono concordi tra loro. Alcuni sostengono l’origine naturale, altri l’incidente di laboratorio, senza che nessuno riesca a presentare la cosiddetta “pistola fumante”. 

L’IC e la comunità scientifica globale mancano di campioni clinici o di una comprensione completa dei dati epidemiologici dai primi casi di COVID-19. Se ottenessimo informazioni sui primi casi che identificato un luogo di interesse o di esposizione professionale, questo potrebbe alterare la nostra valutazione delle ipotesi sarebbe necessaria la cooperazione della Cina per raggiungere una valutazione conclusiva delle origini di COVID-19. Pechino, tuttavia, continua a ostacolare l’indagine globale, a resistere alla condivisione di informazioni e ad accusare altri Paesi, compresi gli Stati Uniti. Queste azioni riflettono, in parte, l’incertezza del governo cinese su dove potrebbe portare un’indagine, nonché il sospetto che la comunità internazionale stia usando la questione per esercitare pressioni politiche sulla Cina.

La nota dolente resta la scarsa collaboratività dei cinesi, che non può essere considerata una prova. Lo stesso problema mise in difficoltà gli analisti dell’Oms, i quali comunque l’aprile scorso riconobbero che l’ipotesi della fuga da un laboratorio è «estremamente improbabile».

In evidenza: immagine di repertorio

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