Covid, i 200 mila contagi e la lite sui dati: «Stop bollettino». In ospedale 1 su 3 ha altre patologie

L’Oms: in due mesi Omicron contagerà un cittadino su due. Ma la nuova variante è letale come l’influenza. I dati “gonfiati” su ricoveri e morti

Mentre i contagi da Coronavirus in Italia raggiungono un nuovo massimo è lite sui dati. Ieri il bollettino del ministero della Salute ha registrato oltre 220 mila contagi e quasi trecento morti. E l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pronosticato che la variante Omicron contagerà in due mesi un cittadino europeo su due. Ma per la maggioranza dei vaccinati oggi la nuova variante è letale come l’influenza. Per questo c’è chi propone di trattarla come tale, secondo la stessa logica di Spagna e Uk. Come? Per esempio abolendo il bollettino quotidiano e passando a una conta almeno settimanale. Ieri a proporlo è stato il primario del San Martino di Genova Matteo Bassetti. Il sottosegretario alla Salute Andrea Costa e alcuni membri del Comitato Tecnico Scientifico si sono detti d’accordo.


La pandemia come un raffreddore?

Ma c’è chi dice no. «Non diciamo che sia meglio non parlare più ogni sera del numero dei contagiati ma sia più opportuno comunicare solo il numero dei ricoverati. Se questi crescessero molto diventerebbero insostenibili per il servizio sanitario e così avremmo perso giorni preziosi per cercare di contenerli. La prevenzione può, anzi deve, essere fatta sui contagi e non sui ricoveri. E quindi non beiamoci del fatto che molti contagiati hanno pochi sintomi talvolta simili a quelli di una normale influenza», ha detto ieri Cesare Cislaghi, professore di economia sanitaria e presidente della Società Italiana di Epidemiologia. Repubblica spiega oggi che la differenza la fa proprio la vaccinazione. Fra gli ultra 65enni la Delta uccide 5,4 infettati su 100, se non immunizzati. La Omicron ha un tasso del 2,2%, sempre fra i non vaccinati.


Per il professore non possiamo dire che pandemia è diventata un raffreddore: «Possiamo solo affermare che, grazie soprattutto ai vaccini, la frequenza degli esiti gravi sia diminuita e riguardi per lo più i non vaccinati. Ma consideriamo che se anche la letalità scendesse allo 0,5% e gli accessi in terapia intensiva allo 0,2%, e se i casi di positività crescessero sino a 500.000 al giorno, ipotesi non del tutto impossibile, i decessi sarebbero 2.500 al giorno e gli accessi in terapia intensiva 1000 e, considerando una degenza media di venti giorni, si avrebbe una presenza di 20.000 malati gravi con la necessità di essere ricoverati in terapia intensiva e questa situazione sicuramente non sarebbe sostenibile con le strutture esistenti».

La situazione degli ospedali

Intanto uno studio della Fiaso (Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere) sui ricoveri di 6 grandi aziende ospedaliere e sanitarie dice che il 34% dei ricoveri di positivi non è per Covid-19 ma di pazienti che richiedono assistenza sanitaria per altre patologie e al momento del tampone pre-ricovero risultano positivi al Sars-CoV-2. Gli ospedali citati sono Asst Spedali civili di Brescia, Irccs Ospedale Policlinico San Martino di Genova, Irccs Aou di Bologna, Policlinico Tor Vergata, Ospedale San Giuseppe Moscati di Avellino e Policlinico di Bari. Secondo Fiaso un paziente su tre sia pur con infezione accertata al virus Sars-CoV-2 viene ospedalizzato per curare tutt’altro: traumi, infarti, emorragie, scompensi, tumori.

I 550 pazienti ricoverati nelle aree Covid dei sei ospedali rappresentano un campione pari al 4% del totale dei ricoverati negli ospedali italiani. La rilevazione è stata effettuata in data 5 gennaio. La Fiaso spiega che 363 (il 66%) sono ospedalizzati con diagnosi da infezione polmonare. Invece 187 (il 34%) non manifestano segni clinici, radiografici e laboratoristici di interessamento polmonare. Ovvero sono stati ricoverati non per il virus ma con il virus. La diagnosi da infezione da Sars-CoV-2 è dunque in questi casi occasionale. Per la stragrande maggioranza, il 36% del totale dei ricoverati positivi ma senza sintomi respiratori, si tratta di donne in gravidanza che necessitano di assistenza ostetrica e ginecologica. Il 33%, infine, è composto da pazienti che hanno subito uno scompenso della condizione internistica derivante da diabete o altre malattie metaboliche, da patologie cardiovascolari, neurologiche, oncologiche o broncopneumopatie croniche.

I dati “gonfiati” su ricoveri e morti

Questo porta quindi a “gonfiare” i dati su ricoveri e morti. «Noi abbiamo i reparti occupati al 26%, ma li avremmo al 10% se usassimo criteri diversi. Quindi sarebbe un gennaio normale – ha spiegato ieri proprio Bassetti all’agenzia di stampa Agi -. Sempre infatti in questo mese invernale avevamo in reparto pazienti con influenze e polmoniti. Se noi non entriamo nella nuova logica continueremo a essere in emergenza. Faccio un appello a Draghi perché ascolti un po’ più i medici e un po’ meno i burocrati». Poi la proposta: «Bisognerebbe prendere esempio da americani, inglesi e spagnoli». Della stessa opinione Alberto Zangrillo, primario di Anestesia al San Raffaele: «Andrebbero cambiati i parametri. Lo dico da circa un anno e mezzo e ancora di più oggi che con l’arrivo dei vaccini il Covid-19 è diventato una malattia respiratoria gestibile. Il report della Fiaso va proprio in questa direzione: molti dei ricoverati sono in ospedale per tutt’altro, ma causa tampone positivo sono segnati come ‘Covid’».

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