Djokovic e Johnson: la solitudine dei numeri uno che si illusero di aggirare vaccino e lockdown, e ora la pagano

Le due crisi parallele vanno avanti tra colpi di scena e tentativi di difesa. Quello che resta è il bisogno, sempre più urgente, di leader legati alla responsabilità di essere (anche loro) cittadini “sacrificabili”

La regola alla base di un sacrificio collettivo è sempre la stessa. Il leader decide in nome di un’emergenza, il popolo accetta in nome di un bene comunitario. Limitazioni, nuove norme, cambiamenti di vita. Si vive tutto con la speranza di uscirne e con la sofferenza di chi non ha alternative. C’è un’attesa al varco però che diventa crisi quando chi sta al vertice decide che un’alternativa ai sacrifici c’è ed è solo per i più forti. È quello che sta succedendo, nello stesso momento e con dinamiche tristemente simili, al numero uno del tennis serbo, Novak Djokovic, e al numero 10 di Downing Street, Boris Johnson. Il tennista in vetta al ranking mondiale si prepara alla possibile detenzione in Australia dopo essersi visto cancellare il permesso di soggiorno nel Paese dove sperava di gareggiare (e vincere) uno dei tornei più prestigiosi del circuito. Djokovic ci aveva provato con un’esenzione medica dai vaccini anti Covid, riguardo ai quali si era espresso sempre in modo piuttosto scettico. Poi con una positività al virus stranamente non dichiarata fin da subito, e ancora con le fandonie raccontate sull’isolamento rispettato nel periodo precedente all’arrivo a Melbourne. Dichiarazioni tutte smentite dalle immagini che lo ritraevano in esibizioni pubbliche e allenamenti. Colpi di scena uno dietro l’altro, e da un certo punto di vista addirittura avvincenti, di cui però tra poche settimane rimarrà soltanto l’amaro tentativo, ingiusto e ingiustificabile, di saltare la fila.


Dall’altra parte c’è Johnson. Da settimane il leader di uno dei Paesi più colpiti al mondo dall’epidemia di Covid-19 è impegnato a difendersi dalle accuse di feste alcoliche organizzate in pieno lockdown. Durante la prima ondata, mentre centinaia di morti uscivano dagli ospedali e la soluzione di tenere chiuse in casa le persone era per tutti l’unica possibilità rimasta, il primo ministro trovava un’alternativa (decisamente più divertente) ai sacrifici per sé e per i suoi collaboratori. Mentre ai cittadini comuni si vietava di incontrare più di una persona per volta, in uno scenario di alienazione che non si viveva da anni, il segretario personale di Johnson mandava mail agli invitati chiedendo di portare alcolici. «Pensavo fosse un evento di lavoro». Le foto di Johnson intento a bere vino con moglie e invitati hanno meritato, anche in questo caso, tristi giustificazioni. E così in un susseguirsi di scandali, a cui poche ore fa si sono aggiunte le due festicciole organizzate al numero 10 di Downing Street dallo staff del premier britannico (più di 30 persone) il giorno prima del funerale del principe Filippo e nel pieno delle restrizioni anti Covid causa variante Omicron


«Djokovic era alla festa di Johnson?»

La battuta pubblicata su Twitter da uno dei più famosi ex calciatori inglesi Gary Lineker riassume alla perfezione la verità di due crisi parallele. «Djokovic era alla festa al numero 10?», chiede Lineker riferendosi all’indirizzo di Downing street, residenza e sede del primo ministro del Regno Unito. Il popolo che continua a fare sacrifici non ha mai smesso di aspettare al varco chi ha spiegato loro la necessità di doversi attenere a rigide regole, come nel caso di Johnson, e di chi seduto sulle vette dei migliori del mondo è chiamato a dare esempio, come Djokovic. E se è vero che il sacrificio è l’autorità morale più forte, va da sé quello che sta succedendo anche nell’opinione pubblica. Novak e Boris si ostinano ad andare avanti per la loro strada ma il consenso dei loro primi posti continua a diminuire drasticamente.

La solitudine dei numeri primi

Secondo gli ultimissimi dati di YouGov, la popolarità di Johnson nel Regno Unito è scesa al minimo storico con un -52%. I favorevoli alla sua presenza al governo si sono ridotti al 20% della popolazione, gli oppositori al 73% con un incremento del 7%. Allo stesso modo sono rimasti accanto a Djokovic solo i sostenitori dell’ideologia No vax, mettendo a dura prova anche i fan incalliti dell’atleta. È lo specchio di una società polarizzata, tra chi si schiera e combatte per il riconoscimento di un bene collettivo e chi grida a una libertà individuale dalle conseguenze non sempre prevedibili. Le due crisi dunque continuano parallele e si dirigono tramite i fatti di cronaca verso una maturazione di soluzioni e (forse) punizioni. Ma, al di là di quello che spetterà nella sostanza ai due numeri uno, quello che più rimane di questa storia parallela è il bisogno, sempre più urgente, di leader legati alla responsabilità di essere (anche loro) cittadini “sacrificabili”.

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