Suicidio assistito, condannata un’altra azienda sanitaria per il caso di Antonio, tetraplegico da 8 anni

Si tratta del secondo caso in Italia, dopo quello di Mario, anche lui marchigiano, nella stessa condizione da 11 anni

Nel giro di 7 mesi arriva una nuova condanna a un’azienda sanitaria per aver violato il diritto di una persona malata a essere sottoposta a verifiche per poter procedere legalmente all’aiuto al suicidio assistito. Sono gli effetti della sentenza 242/19 della Corte costituzionale nel caso Cappato/DjFabo. Ne dà notizia oggi l’associazione Luca Coscioni. Quella sentenza non può essere ignorata dalle aziende sanitarie: sono infatti «obbligate ad accertare le condizioni necessarie per l’accesso alla pratica». E su quest’obbligo lo stesso ministero della Salute all’inizio di novembre aveva inviato una comunicazione alle Regioni. Il caso è quello di Antonio, tetraplegico da otto anni e residente nelle Marche: un’ordinanza del Tribunale di Ancona scioglie la riserva dopo l’udienza del 18 gennaio e ordina all’Azienda sanitaria unica regionale di procedere alla verifica delle condizioni del malato per l’accesso al suicidio assistito, come sancito dalla sentenza della Corte costituzionale.


La richiesta di Antonio – nome di fantasia – di accedere al suicidio assistito è bloccata da 18 mesi. Si tratta del secondo italiano, spiega l’associazione Luca Coscioni, a ricorrere ai tribunali per vedere riconosciuto il diritto al suicidio assistito, legalizzato appunto dalla Corte Costituzionale alla presenza di determinate condizioni. Aprendo di fatto la strada a quei malati che finora, per ricorrere al fine vita, erano condannati a farlo all’estero. Il primo malato a richiederlo in Italia era stato un altro marchigiano, Mario (anche questo è un nome di fantasia), 43 anni: per un grave incidente stradale «che gli provocato la frattura della colonna vertebrale con la conseguente lesione del midollo spinale, è tetraplegico e ha altre gravi patologie. Le sue condizioni sono irreversibili» e sono tali da 11 anni. Per lui la procedura è ora «ferma» sulla questione del farmaco da utilizzare.


La decisione

L’Asur dovrà accertare accertare, previa acquisizione del relativo parere del Comitato etico territorialmente competente: se Antonio «è tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili; se sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli; se le modalità, la metodica e farmaco prescelti siano idonei a garantirgli la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile». «Anche in questo caso i Tribunali affermano il diritto della persona malata a ottenere le verifiche necessarie così come previsto dal giudicato costituzionale per poter procedere legalmente in Italia con auto-somministrazione del farmaco letale», commenta Filomena Gallo, segretaria dell’associazione Luca Coscioni e parte del team legale di ‘Antonio’. Il no dell’azienda sanitaria, «alla luce della consulta e delle motivazioni contenute nella decisione del Giudice ordinario, risulta illegittimo». Gallo precisa che la sentenza di incostituzionalità sul caso Cappato-Antoniani «non si è limitata a dichiarare una condizione di non punibilità e i suoi requisiti, come sostenuto dalla difesa dell’Asur, ma ha altresì dettato dei presupposti procedurali (accertamento della struttura sanitaria pubblica e parere del comitato etico) che sono imprescindibili ai fini della non punibilità».

Insomma: in assenza di una legge – e come spesso accade su molti temi, soprattutto etici – la Corte ha sancito il diritto al suicidio assistito con le indicazioni per accedervi. «Si tratta di procedure che coinvolgono soggetti terzi (rispetto a colui che vuole porre fine alla propria vita e da colui che verrebbe incriminato di aiuto al suicidio), dice ancora l’avvocata. Che devono essere necessariamente coinvolti in un’ottica di tutela del soggetto debole. Ne consegue che tale sentenza non può che avere risvolti sotto il profilo civilistico e in particolare delle prestazione che il cittadino-paziente ha diritto di richiedere al sistema sanitario nazionale e ai suoi attori-organi. L’ordinanza rigetta dunque tutte le contestazioni formulate dall’Asur Marche che continua ad opporsi alla decisione della Corte costituzionale, sminuendone o addirittura cercando di annullarne la portata normativa».

In copertina ANSA/ DANIELE CAROTTI | Marco Cappato e Filomena Gallo

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