Slitta ancora una volta l’approvazione del sesto pacchetto di sanzioni dell’Unione europea contro la Russia. Secondo quanto riferito da fonti di Bruxelles, non si riesce ancora a trovare un’intesa, malgrado vi sia un «generale consenso al pacchetto di sanzioni». È l’assenza di unanimità dei 27 Paesi membri sullo stop al petrolio russo a rallentare la decisione a procedere con le sanzioni contro Mosca, con Ungheria e Slovacchia che si oppongono all’embargo entro sei mesi proposto negli scorsi giorni dalla Commissione Ue. Polemiche anche da Bulgaria e Repubblica Ceca, che chiedono per loro la stessa deroga già approvata ad hoc per Budapest e Bratislava fino alla fine del 2023. In mattinata, il primo ministro ungherese Viktor Orban aveva detto: «Le sanzioni europee sono una bomba atomica che vogliono sganciare sull’economia ungherese». Nel fine settimana, dunque, i rappresentanti dei 27 Paesi membri dovranno continuare i colloqui per riuscire a trovare una quadra, nella speranza di riuscire ad approvare le sanzioni entro lunedì 9 maggio.
Il nodo dell’«unanimità»
Il tema dell’«unanimità» è emerso anche nei giorni scorsi, quando il premier Mario Draghi ha evidenziato che questo modus operandi andrebbe rivisto in sede europea, come dichiarato nel suo recente intervento a Strasburgo. «Dobbiamo superare il principio dell’unanimità – aveva detto – da cui origina una logica intergovernativa fatta di veti incrociati, e muoverci verso decisioni prese a maggioranza qualificata (perché) un’Europa capace di decidere in modo tempestivo è un’Europa più credibile di fronte ai suoi cittadini e di fronte al mondo».
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