«La Gioiosa macchina da guerra? Non è mai esistita. E il Pd per vincere deve allearsi con i deboli» – Intervista ad Achille Occhetto

L’ex segretario del Pds che guidò i progressisti nella sconfitta elettorale del 1994 non vede molte affinità tra quell’epoca e il 2023. Ma ci tiene a far sapere a Letta che la difesa di Draghi non basta. E che il Pd, più che pensare al M5s, deve giocarsi fino in fondo la sua identità di sinistra

Uno spettro si aggira per l’Italia in campagna elettorale. È lo spettro della “Gioiosa macchina da guerra”. La locuzione è diventata famosa alla vigilia delle elezioni politiche del 1994. E serviva ad identificare i Progressisti, ovvero l’alleanza tra partiti socialisti, verdi e di sinistra che scese in campo alle elezioni. Con grandi possibilità di vittoria, dicevano i giornali all’epoca. E infatti trionfò Berlusconi. Oggi la “Gioiosa macchina da guerra” viene in mente mentre Enrico Letta tenta di mettere insieme una coalizione che nelle sue intenzioni dovrebbe andare da Speranza a Calenda. Ma invece Achille Occhetto, ovvero il protagonista della svolta della Bolognina e segretario di quel Pds, dice a Open che la storia non andò come i giornali l’hanno raccontata all’epoca. E che oggi il Pd deve pensare ad allearsi non con i 5 Stelle, ma con i deboli e i bisognosi.


Affinità e differenze tra il 1994 e noi

In breve la storia è questa. Nel 1994 le elezioni politiche si tengono con un sistema elettorale chiamato Mattarellum, visto che fu scritto dall’attuale inquilino del Quirinale. È un sistema misto, ovvero maggioritario a turno unico per il 75% dei seggi e proporzionale per il restante 25%. Ai nastri di partenza l’Alleanza dei Progressisti composta da Pds, Rifondazione Comunista, Partito Socialista, Alleanza Democratica, Verdi, Cristiano Sociali, La Rete e altri. Il Patto per l’Italia composto dal partito di Mario Segni – che aveva voluto il referendum che aveva introdotto il maggioritario – e dai Popolari, allora eredi unici della Dc. E dal Polo delle Libertà e del Buongoverno, frutto dell’alleanza a nord di Forza Italia con la Lega e al Sud del patto tra Berlusconi e l’allora Movimento Sociale Italiano di Gianfranco Fini. Alla fine vince Berlusconi: alla Camera ottiene 16 milioni e mezzo di voti contro i 13 dei progressisti e i 6 dei Popolari. Al Senato 14 milioni contro rispettivamente 10 e 5.


Wikipedia | La svolta della Bolognina, 12 novembre 1989

Anche oggi c’è un sistema elettorale misto come il Rosatellum e tre poli (diversi da quelli dell’epoca) si presenteranno alle elezioni. Il centrosinistra, abbandonato il Campo Largo per cause di governo Draghi maggiori, ha intenzione di schierarsi con una coalizione che comprenderà da Fratojanni a tutto il centro e anche quel Renzi che però è ancora da convincere. Ma per Occhetto le somiglianze finiscono qui. Anzi, non ce ne sono proprio. «Sono in piena bronchite, l’ho presa tornando dalla Sardegna», esordisce per spiegare la voce un po’ rauca. Poi puntualizza: «La situazione è completamente diversa da quella che fu chiamata dalla stampa “la gioiosa macchina da guerra”. Le racconto come andò: fu uno scherzo. Dopo una riunione per le liste i giornalisti appostati fuori dall’edificio mi chiesero “com’è andata?”. E io dissi per ridere “è una gioiosa macchina da guerra”. Questo però successe prima del voto – ci tiene a sottolinearlo – quindi non è vero che gli italiani si spaventarono per quello. Anche perché non ho mica parlato di Invincibile Armata o cose del genere».

«Una chiara presa per il culo»

Anche perché, ragiona Occhetto, si trattava di «una chiara presa per il culo, quasi un ossimoro. Non c’era un riferimento alla Cina, ero semplicemente stanco e ho fatto una battuta». Poi, siccome nessuno riusciva a spiegare la vittoria di Berlusconi – che in effetti fu una sorpresa soprattutto per le dimensioni alle urne – allora «tutti si sono attaccati a questa frase che non ha avuto all’epoca alcuna rilevanza nella campagna elettorale». «Somiglianze tra la situazione dell’epoca e l’attuale? Sinceramente non ne trovo quasi nessuna. Di simile c’è solo il tentativo di avere il massimo di alleanze a sinistra. Ma questo lo trovo importante. Però la differenza grossa con l’epoca è che noi allora non riuscimmo a chiudere un patto con i cattolici. E questo perché i Popolari erano ancora convinti di essere il polo centrale della politica italiana. La sconfitta non fu dovuta a noi, il mio partito crebbe del 4%».

Achille Occhetto presenta il simbolo del Pds

Occhetto ci ricorda che all’epoca Rifondazione Comunista era dentro la coalizione progressista (due anni dopo stipulerà un patto di desistenza con l’Ulivo di Romano Prodi che poi vincerà le elezioni): «I Popolari invece correvano con Segni. Il clima politico era quello di una tarda Prima Repubblica con un tentativo di apertura verso il bipolarismo. Un tentativo parziale perché la Dc era ancora unita. Per questo non ho potuto attuare il mio vero programma. Ovvero l’unione delle forze progressiste con quelle cattoliche di sinistra». Per questo, sostiene Occhetto, vinse Berlusconi: «Perché la Dc perse anche le mutande». Poi aggiunge: «Il mio progetto dopo le elezioni era di riproporre insieme ai Popolari Ciampi alla presidenza del Consiglio». E qui però non può saltare all’occhio un’altra assonanza con l’attualità, visto che anche oggi c’è chi dopo le elezioni vorrebbe confermare Draghi a Palazzo Chigi. «Sì, ma in un contesto totalmente diverso», obietta l’ex segretario del Pds.

La difesa di Draghi non basta

Perché secondo Occhetto il problema è proprio che il centrosinistra non può appiattirsi sulla difesa del governo Draghi. «Il Pd deve giocarsi fino in fondo la sua identità di sinistra. Anche all’interno di uno schieramento ampio. E sia chiaro che l’identità di sinistra non è legata alle formule di alleanza, che prevedano i grillini o meno. Di questo non me ne frega niente. Parlo di programmi. Cioè il partito deve cercare i voti di disillusi, amareggiati, protestatari. E può farlo solo se non si schiaccia nella difesa della piattaforma Draghi. Il Pd deve portare una soluzione ai problemi irrisolti. Il primo di questi è la diseguaglianza economica e sociale. Che va combattuta apertamente. E cioè con la tassazione progressiva. Con il principio che chi più ha, più paga. E che chi non ha non deve dare ma ricevere».

E poi: «Vorrei anche un governo che combatta la battaglia per la messa al bando di tutte le armi nucleari e per il disarmo bilanciato e controllato. Le sembrerà una follia ma dopo la fine di questa guerra questo diventerà il problema principale, come ho scritto nel mio libro “Perché non basta dirsi democratici”». Mentre oggi siamo di fronte «alla fase più pericolosa dell’esperienza populista del nostro paese». Della quale fa parte anche il M5s. Che «è un coacervo di forze, alcune componenti sono di sinistra e hanno seguito il Vaffa di Grillo. Ma quella populista ha preso il sopravvento ed è diventato difficile collocarlo tra destra e sinistra ormai». Per questo più che farlo con i 5s «il Pd deve allearsi con la parte più debole del paese. Con un programma riformista, coraggioso e avanzato».

Foto di copertina: Vincenzo Monaco

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