Collegi, simbolo, leadership e tv: a che punto è la trattativa infinita tra Renzi e Calenda

Segnali di pace tra i due e un incontro fissato per oggi. Ma restano i nodi. E la lista unica…

Oggi Carlo Calenda e Matteo Renzi si vedranno per un incontro definito decisivo. L’obiettivo è varare l’alleanza tra Italia Viva e Azione per le elezioni del 25 settembre. Ma a parte i segnali di pace tra i due da discutere c’è molto, se non tutto. Le questioni aperte sono le candidature, i collegi, il simbolo e gli spazi televisivi. Oltre a quella del front runner. Per il quale sembrano rimaste in ballo due ipotesi. Quella dello stesso Calenda. E quella di Mara Carfagna. Intanto i sondaggi accreditano il Terzo Polo del 4%. E c’è già chi fa i conti: se l’alleanza arrivasse al 7% ci sarebbero una ventina di posti disponibili tra Camera e Senato. Ma i candidabili sono molti di più. E qualcuno rimarrà di sicuro scontento.


La costruzione dell’alleanza

Di certo c’è che Calenda vuole avere maggiore spazio rispetto a Renzi. A partire, spiega oggi La Stampa, dagli spazi televisivi. L’idea di un ticket Carfagna-Bonetti sembra tramontata. Anche se candidare alla premiership due ministre del governo Draghi sarebbe stato un buon modo per ribadire la fedeltà al presidente del Consiglio. Ribadita ieri da Renzi: «A Bruxelles ci sono quelli tosti, gli olandesi, i tedeschi. Ma se non cambiamo quel patto non andiamo da nessuna parte. Io chiedo agli italiani, chi preferite che vada a trattare? Draghi o Meloni?». L’idea dell’ex premier è che un pareggio elettorale favorisca la permanenza dell’ex Bce a Palazzo Chigi. Il problema è che i sondaggi dicono altro.


Ieri infatti Calenda ha polemizzato con YouTrend. Accusando la società di sondaggi di essere «del Pd e di +Europa» per una rilevazione che dà il Terzo Polo sotto il 5% dopo lo strappo con Enrico Letta. L’ex ministro sembra determinato a prendersi la leadership dell’alleanza. E su questo Renzi sembra possibilista. Invece c’è un problema sui collegi. Dopo le tante percentuali uscite nei giorni scorsi, oggi l’offerta è di 50 e 50: divisione perfetta tra i candidati dei due partiti. Ma, come sappiamo, più che il quanto è importante il dove. E l’accordo dovrà trovare una quadra più sui venti collegi decisivi che sul resto. Perché è lì che si gioca la vera partita.

Il simbolo

Un altro nodo è quello del simbolo. Azione e Iv debbono presentarsi con una lista unica. Per una serie di motivazioni concomitanti. La prima è che nonostante le rassicurazioni dei calendiani non è per niente detto che la raccolta delle 36 mila firme sia bypassata dalla candidatura del leader alle Europee del 2019. E quindi qui entrano in gioco le regole del Rosatellum. Una lista unica ha una soglia di sbarramento del 3%. Un raggruppamento di liste deve superare il 10%. Andare con una lista unica rassicurerebbe riguardo l’elezione di alcuni parlamentari anche in caso di clamoroso flop del Terzo Polo. Il simbolo quindi sarà uno. Ci saranno i loghi dei due partiti. E un nome. Quello di Calenda? Pare più probabile.

A meno che entrambi non si accordino sul nome di Carfagna. Renzi ieri ha spiegato che si aspetta l’accordo prima di mettere mano alla questione delle liste. «Se si fa l’accordo bisogna capire qual è la prospettiva per la prossima legislatura, se c’è un progetto serio: le candidature e le liste sono le cose più facili su cui accordarci. La domanda vera è: ‘vogliamo fare un polo del buon senso nella prossima legislatura? Io sono ottimista e prudente. Penso che domani dobbiamo vederci e decidiamo se sì o no». Sembra quasi un ultimatum.

Le firme e Guzzetta

Intanto Giovanni Guzzetta, professore di Diritto pubblico presso l’Università di Roma Tor Vergata, all’AdnKronos ha detto che sulle firme Calenda merita lo stesso trattamento di Tabacci e Bonino: «Non si può applicare a Calenda un regime differenziato rispetto agli altri: o l’esenzione vale per tutti o non vale per nessuno, in quanto la lista di Calenda si trova esattamente nella stessa situazione di quella di Di Maio, di Tabacci, della Bonino e cosi via». «Immaginare che le singole componenti siano titolari ciascuna di un’esenzione – avvisa il costituzionalista – significa moltiplicare i beneficiari ed eludere lo spirito della legge. Stupirebbe un avallo del ministero dell’interno».

Sul tema esenzioni, spiega il prof, «circolano due interpretazioni: una lassista che ne consente la moltiplicazione ed una più rigorosa che a me sembra più corretta e che prevede una esenzione per ogni soggetto titolare del requisito che la giustifica. Dunque qualora il soggetto sia composto da più partiti o movimenti associati, non è ammissibile una esenzione per ciascuno di questi ultimi soggetti, ma solo per il gruppo parlamentare o per la lista nella sua totalità. In questo contesto non si può applicare a Calenda un regime differenziato rispetto agli altri: o l’esenzione vale per tutti o non vale per nessuno, in quanto la lista di Calenda si trova esattamente nella stessa situazione di quella di Di Maio, di Tabacci, della Bonino e cosi via».

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