Iran, vasto incendio nel nel carcere di Evin a Teheran: «Tutti i prigionieri sono in pericolo». Spari ed esplosioni intorno all’edificio – I video

All’interno della struttura sarebbe stata incarcerata anche l’Italiana Alessia Piperno. Le fiamme sarebbero partite dalle sezioni 7 e 8, dove i detenuti sono rinchiusi in modo provvisorio in attesa di processo, incluse persone arrestate durante le recenti manifestazioni

Un enorme incendio è divampato in serata nel carcere di Evin a Teheran, dove sono detenuti prigionieri politici, ma anche molti manifestanti che sono stati arrestati durante le proteste che sono esplose in tutto l’Iran dopo la morte di Mahsa Amini, la 22enne morta dopo essere stata arrestata dalla polizia morale perché non aveva indossato correttamente l’hijab. Nel penitenziario – e il condizionale è d’obbligo – sarebbe incarcerata anche l’italiana Alessia Piperno, la trentenne romana arrestata nella capitale iraniana lo scorso 28 settembre. Secondo quanto riferito da testimoni e attivisti iraniani, le fiamme sarebbero partite dalle sezioni 7 e 8,  dove i detenuti sono rinchiusi in modo provvisorio in attesa di processo. La maggior parte di loro sono persone arrestate durante le recenti manifestazioni. «Tutti i prigionieri sono in pericolo», denunciano gli attivisiti. Le autorità iraniane hanno comunicato invece che la situazione è «completamente sotto controllo». Le fiamme sarebbero state domante, e la rivolta avrebbe provocato almeno 8 feriti, e non sarebbero legate alle proteste in corso nel Paese, secondo quanto riportato da Irna, l’agenzia di stampa della Repubblica Islamica. Ma ad accorrere attorno all’edificio non sono arrivati solo pompieri e ambulanze, ma soprattutto le milizie basiji, i Pasdaran e le guardie della rivoluzione islamica.


Dai video diffusi in rete, malgrado i ripetuti blackout della rete di comunicazione, si sentono diversi spari principalmente localizzati all’esterno della struttura e le urla dei detenuti: «Morte al dittatore, morte a Khamenei». Testimoni sul posto non escludono che anche all’interno dell’edificio possano essere in corso sparatorie. All’esterno della prigione si sono radunate sia le famiglie delle persone incarcerate, preoccupate per i destini dei loro cari rinchiusi nella struttura, sia i manifestanti. Secondo le testimonianze la polizia ha sparato gas lacrimogeni anche contro le famiglie degli attivisti, dei manifestanti e degli studenti che si erano radunati intorno alla prigione. Secondo quanto riferito da fonti locali «le forze speciali si stanno dirigendo verso la prigione», mentre altre denunciano: «Il governo ha messo in scena un altro film per uccidere i nostri cari. Le vite dei nostri amici sono in serio pericolo. Se l’incendio non si spegne immediatamente e non si avviano i soccorsi in questo momento, il disastro è certo. Non è rimasto molto tempo».


Le violenze nel carcere di Evin

Le autorità iraniane hanno utilizzato la prigione di Evin per detenere, interrogare e incarcerare prigionieri politici. La struttura è stata aperta nel Nord di Teheran nel 1972 durante il regno di Shah Mohammad Reza Pahlavi, prima che fosse rovesciato nella rivoluzione islamica del 1979. Quando l’Ayatollah Ruhollah Khomeini (la stessa guida suprema che lanciò la fatwa contro lo scrittore indiano naturalizzato inglese Salman Rushdie dopo la pubblicazione de I versi satanici, ndr) ha preso il controllo dell’Iran, le violenze nella prigione di Evin sono sempre più aumentate. Nel 1988, le autorità iraniane, agendo su ordine del leader supremo Ayatollah Khomeini, giustiziarono sommariamente ed extra-giudizialmente migliaia di prigionieri politici in tutto il Paese. Migliaia di manifestanti vennero uccisi per strada con colpi di arma da fuoco, mentre altri vennero condotti in diverse prigioni per essere torturati e successivamente uccisi, nei cosiddetti «massacri delle prigioni». Molti prigionieri vennero impiccati con l’accusa di essere mohareb, ossia «nemici di Dio». Decine di migliaia di dissidenti vennero giustiziati in diverse prigioni iraniane, inclusa quella di Evin, in uno degli omicidi di massa più violenti della storia moderna. 

Il 17 aprile 2014, nel “giovedí nero” dei detenuti nel braccio 350 del carcere di Evin, le persone incarcerate vennero picchiato violentemente con bastoni e altre armi contundenti da parte di centinaia di guardie carcerarie per essersi rifiutati di lasciare le loro celle durante un controllo di sicurezza. Il bilancio ufficioso fu di almeno 30 feriti, di cui 4 in modo grave. Nell’agosto 2021, invece, il gruppo di hacker Edalat-e Ali è riuscito a bucare il sistema di videosorveglianza del carcere, raccogliendo immagini, diffuse successivamente in rete, che mostrano pestaggi, molestie sessuali e rifiuto di prestare cure mediche ai carcerati. Si tratta dello stesso gruppo di hacker che lo scorso 8 ottobre ha hackerato la tv di Stato iraniana interrompendo la messa in onda di un servizio tra l’ayatollah Alì Khamenei e i suoi collaboratori, mandando in onda una clip, in cui vengono mostrate alcune delle vittime delle proteste in corso ormai da quasi un mese in tutto il Paese e la scritta contro la guida suprema iraniana: «Il sangue della nostra giovinezza ti gocciola dalle dita».

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