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La telefonata Macron-Mattarella e lo schiaffo di La Russa: così il governo Meloni rischia l’escalation in Ue

macron mattarella governo meloni la russa
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L'irruzione del presidente del Senato nel dibattito tra i presidenti serve a confermare la svolta «identitaria» del centrodestra.

La telefonata tra Emmanuel Macron e Sergio Mattarella è avvenuta sabato sera. Il colloquio che doveva servire ad allentare il braccio di ferro sui migranti tra Francia e Italia è un replay di quello che è successo nel 2019. Quando l’inquilino del Quirinale si adoperò per ricucire i rapporti con l’Eliseo dopo la trasferta di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista con i Gilet Gialli. All’epoca Parigi richiamò l’ambasciatore a Roma. Esattamente la stessa minaccia di questi giorni. In più, Mattarella ha informato la premier Giorgia Meloni subito dopo il colloquio. Ecco perché nell’intervento non c’è nulla di strano. O meglio, non c’era. Perché dopo l’irruzione nel dibattito di Ignazio La Russa invece c’è chi fa notare che un esplicito dissenso tra la prima e la seconda carica dello Stato è stato piuttosto raro nella storia istituzionale. Così come il ruolo di garanzia del presidente del Senato dovrebbe imporre di non schierarsi con il governo.

Il colloquio

Nelle intenzioni del Quirinale e dell’Eliseo il colloquio doveva servire a evitare l’escalation. Ovvero quella rottura tra Parigi e Roma innescata dalla nota di Palazzo Chigi in cui si dava per acquisito l’approdo di Ocean Viking in Francia. Un comunicato interpretato come un atto ostile da Macron. Perché poco prima il ministro dell’Interno Gérard Dermanin aveva spiegato al suo omologo Matteo Piantedosi che per Parigi l’unica soluzione era lo sbarco in Italia. E perché la nota di Meloni ha lasciato scoperto il fianco dell’esecutivo alle accuse dell’estrema destra francese. Per questo, spiega oggi Marzio Breda sul Corriere della Sera, il Capo dello Stato non pensava certo di commissariare Palazzo Chigi. O di entrare nel merito delle scelte tecniche nei confronti delle Ong. Come le aperture dei porti, gli sbarchi, i ricollocamenti delle persone.

Mattarella sperava invece di spazzare via certe ruggini. Che potevano finire per coinvolgere anche dossier molto più rilevanti. Come la Legge di Bilancio o il Recovery Plan. In questa ottica poco importa chi abbia telefonato a chi. Anche se l’agenzia di stampa Ansa fa sapere che secondo alcune fonti di governo è stato il Quirinale a comporre il numero. Mentre il comunicato è stato vagliato dall’Eliseo e da Roma prima della diffusione a 36 ore dal colloquio: «Il Presidente Sergio Mattarella, ha avuto con il Presidente Emmanuel Macron, un colloquio telefonico, nel corso del quale entrambi hanno affermato la grande importanza della relazione tra i due Paesi e hanno condiviso la necessità che vengano poste in atto condizioni di piena collaborazione in ogni settore sia in ambito bilaterale sia dell’Unione Europea».

Lo sgarbo di La Russa

Proprio perché questo è il quadro istituzionale di partenza Marcello Sorgi su La Stampa oggi parla di uno «sgarbo mai visto» in relazione all’intervento di La Russa. Proprio lui all’inizio del suo mandato aveva riconosciuto l’importanza di essere super partes nel proprio ruolo. E proprio lui ieri è intervenuto schierandosi apertamente dalla parte del governo nello scontro. Sebbene non spettasse a lui dirlo, il presidente del Senato ha inteso rimarcare il senso «identitario» della svolta a destra dopo le elezioni del 25 settembre. E cercare di smarcare Fratelli d’Italia dal pressing di Matteo Salvini, che sembra fermamente deciso a recuperare voti dai suoi alleati con la stessa strategia usata all’epoca del governo con il Movimento 5 Stelle. Anche se nel frattempo sono passati molti anni e c’è un Papeete di mezzo.

Così ora si è capito che il governo tira diritto. Il passo successivo sarà il ritorno dei decreti sicurezza. Con i sequestri e le multe che già hanno vissuto una stagione all’epoca del Conte I. Per far capire all’elettorato che questo è il modo di tutelare gli interessi nazionali. Anche se il prezzo dovesse essere la progressiva marginalizzazione dell’Italia nell’Unione Europea. Ovvero proprio quello che Meloni aveva giurato di voler evitare.

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