Cosa ha detto Claudio Campiti al giudice sulla strage del consorzio Valleverde: «Erano mafiosi, mi hanno tagliato l’acqua»

In tasca aveva anche un coltello da sub. E nello zaino c’erano il costume da bagno, le ciabatte e l’accappatoio. Per la fuga già preparata

«Ero esasperato per le condotte mafiose tenute da anni dagli organi deliberanti del consiglio». In queste parole che ha pronunciato davanti al giudice delle indagini preliminari c’è la spiegazione di Claudio Campiti sulla strage del consorzio Valleverde. Ovvero proprio quell’esasperazione che ha descritto per anni sul suo blog, puntando il dito su un presunto complotto contro di lui. Che gli ha fatto covare «rancore e risentimento» spingendolo fino a uccidere. Nell’interrogatorio davanti al Gip Emanuela Atturi Campiti, assistito dal suo difensore, ha evitato di rispondere alle domande del pubblico ministero Giovanni Musarò. Rifugiandosi invece in un lungo monologo contro il Cda del consorzio. Colpevole anche di avergli tagliato l’acqua potabile per morosità.


Il costume da bagno e le ciabatte

«Mafiosi», li chiamava. «Mafiosi, vi ammazzo tutti», ha detto irrompendo nel bar “Il posto giusto” in via Monte Giberto a Fidene e uccidendo quattro persone e ferendone altre due. Con la Glock calibro 45 sottratta al Poligono di Tiro. Ma in tasca aveva anche un coltello da sub della lunghezza di 28 centimetri. Ed era pronto alla fuga dopo la strage: oltre al passaporto, racconta oggi il Corriere della Sera, sull’auto sono stati ritrovati un costume da mare, l’accappatoio e le ciabatte. Per questo, scrive il Gip nell’ordinanza che conferma la custodia cautelare in carcere, la condotta criminosa di Campiti è stata «indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione» da apparire «un mero pretesto per lo sfogo di un proposito violento». Di una cosa sola Campiti aveva consapevolezza: «Che non avrebbe fatto ritorno a casa». Ora rimarrà a Regina Coeli.


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