Asia Argento dopo la condanna di Weinstein, gli insulti dopo le denunce e la liberazione: «Oggi sono serena: ho trasformato il veleno in medicina»

«Ci sono volute due decadi e 16 anni di analisi per liberarmi di questo critico interiore in primis – scrive l’attrice su Instagram – e per imparare a farmi scivolare le insinuazioni dei detrattori poi, che facevano ancora più male perché ero stata io la prima a incolparmi»

Era il 2017 quando Asia Argento denunciò tra le prime a Hollywood gli abusi subiti dal produttore Harvey Weinstein, condannato dal tribunale di Los Angeles per altri tre reati: uno stupro e due aggressioni sessuali. Il produttore era stato già condannato a New York per violenza sessuale e sta scontando 23 anni di carcere, a cui si aggiunge l’ultima condanna di 24 che potrebbero aumentare quando la corte emetterà la sentenza sulle aggravanti. In un lungo post su Instagram, Argento torna su quella che per lei è stata una lunghissima e dolorosissima parte della sua vita, ma di cui oggi dice di esserne uscita come una «donna serena, una sopravvissuta», riuscendo a «trasformare il veleno in medicina e so che la mia esperienza ha aiutato innumerevoli donne in tutto il mondo a uscire dallo stigma delle violenze sessuali, a liberarsi di questo enorme fardello. E per questo sono e sarò sempre eternamente grata».


Le denunce

L’attrice ricorda come nel 2017 assieme ad altre donne rivelò quel che avevano subito, dando di fatto il via al movimento MeToo: «Ci fu un vero e proprio tsunami mediatico, subii da parte dei media e degli haters quello che viene chiamato “victim blaming”. Vennero dette pubblicamente frasi come “se l’era cercata, poteva dire no, l’ha fatto per farsi pubblicità”, perché la colpa del predatore in qualche strana maniera ricade sempre sulla donna, sulla vittima, anche se detesto questa parola. La vittima di stupro, di molestie, viene sempre, prima di tutto, giudicata. Prima ancora dello stupratore».


Lo stigma

Nella bufera di quei momenti, l’attrice ricorda di aver fatto i conti anche con gli scrupoli e i sensi di colpa, interrogandosi su «come mai non fossi riuscita a scappare, perché non gli avessi dato un calcio nelle palle come mi aveva insegnato mia madre, perché non avessi urlato e chiamato le forze dell’ordine. M’incolpavo dicendomi che davo troppa confidenza agli uomini. O che forse era colpa dei ruoli che interpretavo, le pose sexy sulle copertine dei giornali. Se qualcosa di irrisolto dentro di me non mi aveva mai permesso di amarmi completamente, dopo essere stata violentata iniziai a disprezzarmi. Continuavo a ripetermi che ero una puttana e che me l’ero cercata. Non riuscivo a fuggire da questi pensieri. Allora ero ventenne, non avevo gli strumenti per capire cosa mi era successo».

La liberazione

Finché la consapevolezza è arrivata con il tempo: «Ci sono volute due decadi e 16 anni di analisi per liberarmi di questo critico interiore in primis, e per imparare a farmi scivolare le insinuazioni dei detrattori poi, che facevano ancora più male perché ero stata io la prima a incolparmi. Ieri Weinstein è stato condannato (dopo la sentenza di 23 anni a New York) a Los Angeles per stupro e violenze sessuali, potrebbe scontare 47 anni in carcere. Quarantasette anni è la mia età. Oggi sono una donna serena, una sopravvissuta, amo la vita, amo me stessa, ho trasformato il veleno in medicina, e so che la mia esperienza ha aiutato innumerevoli donne in tutto il mondo ad uscire dallo stigma delle violenze sessuali, a liberarsi di questo enorme fardello. E per questo sono e sarò sempre eternamente grata».

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