La battaglia dei sindaci sui figli delle coppie gay divide la comunità Lgbt: «Troppo timidi, non è disobbedienza civile»

Fabrizio Marrazzo, portavoce del Partito Gay, e Vincenzo Miri, avvocato per i diritti lgbt, spiegano a Open le critiche all’iniziativa dei primi cittadini: «Fanno solo quello che la giurisprudenza già prevede»

Sette primi cittadini si incontrano, scrivono un manifesto per la vita famigliare delle persone Lgbtq+ e poi invitano i politici nazionali a un confronto: «Siamo pronti a discutere con il governo. Chiediamo un incontro urgente con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi». Firmato, i sindaci Roberto Gualtieri (Roma), Beppe Sala (Milano), Gaetano Manfredi (Napoli), Stefano Lo Russo (Torino), Matteo Lepore (Bologna), Dario Nardella (Firenze) e Antonio Decaro (Bari). A stretto giro, la ministra della Famiglia Eugenia Roccella, seppure non sia stata coinvolta direttamente dai primi cittadini, respinge la richiesta di dialogo: «Non c’è un confronto da fare. Ci sono leggi e una sentenza precisa. Non c’è qualcosa da contrattare». La questione nasce con la circolare del Viminale che ha esortato a bloccare le trascrizioni dei certificati di filiazione rilasciati all’estero alle coppie omogenitoriali. Tout court. I sindaci di sette grandi città, allora, si organizzano e decidono di continuare a registrare gli atti di nascita stranieri che riguardano due mamme, «non riconducibili a una gestazione per altri», che è chiaramente vietata dalla normativa italiana. «Nell’attesa di una legge», si danno appuntamento a Torino, il prossimo 12 maggio, a tutela dei figli delle cosiddette famiglie arcobaleno.


Marrazzo, Partito Gay: «Quella dei sindaci è un’iniziativa ipocrita»

Per alcuni, questi primi cittadini sono diventati il simbolo del progressismo, il volto dell’amministrazione pubblica che guarda ai diritti sociali. Per alcuni, non per tutti: una fetta consistente della comunità Lgbtqi+ rimprovera loro di essere stati timidi in questa battaglia, di far passare per «disobbedienza civile» la trascrizione dei certificati con due mamme. Una pratica che, in realtà, la giurisprudenza italiana ha accolto già dal 2016. «È controintuitivo, ma chi ha davvero accolto la nostra richiesta è il sindaco leghista di Treviso. La sua è vera disobbedienza civile, perché riconosce i figli di tutte le coppie omogenitoriali, siano esse composte da uomini o donne. Questo vuol dire garantire gli stessi diritti a tutti i bambini». A parlare è Fabrizio Marrazzo, portavoce del Partito Gay. «La scelta del sindaco di Treviso Mario Conte è qualcosa di simile a quando, negli Stati Uniti, gli amministratori locali celebravano matrimoni misti tra persone bianche e nere, andando contro la legge». Marrazzo critica l’atteggiamento dei sindaci delle grandi città, «con Sala come capofila», perché invocano una legge «pur sapendo che questo Parlamento non legifererà mai sul tema».


Miri, presidente Rete Lenford: «Nessuna novità, quella dei sindaci è qualcosa già consolidato nella nostra giurisprudenza»

A Open, il portavoce del Partito Gay ribadisce che l’unica cosa da fare è «disobbedienza civile. Ma quando abbiamo incalzato Sala e gli altri sindaci di centrosinistra, hanno preferito fare la scelta incoerente di trascrivere i certificati di sole mamme. È un’ipocrisia». L’avvocato Vincenzo Miri, presidente di Rete Lenford, associazione impegnata per i diritti delle persone Lgbtqi+, approfondisce l’aspetto legale della faccenda: «Ciò che contemplano i sindaci riguarda i bambini che nascono in un altro Paese da una fecondazione assistita fatta da una delle due mamme, con il parto avvenuto all’estero». Il presupposto è che, in alcuni Stati, è consentito formulare il certificato di nascita con l’indicazione di due madri. Questo atto può essere trascritto in Italia, ovvero copiato nei registri civili italiani? «La giurisprudenza delle Corti superiori – Cassazione e Costituzionale – dà un’indicazione unanime: dal 2016 al 2021, tutte le volte che è stata esaminata una pratica di trascrizione, la sentenza è stata favorevole alle due mamme. Non è mai stato ravvisato un conflitto con l’ordinamento italiano quando non sussiste l’ipotesi di surrogazione di maternità».

Una giurisprudenza chiara già dal 2016

In sintesi, le sentenze in Italia già dicono che se il bambino è riconosciuto come figlio di due madri si assume che non abbiano fatto ricorso alla maternità surrogata (pratica che, nel silenzio, usano in Italia soprattutto coppie etero) e quindi l’atto di nascita si può trascrivere. «Se un certificato di nascita indica che il bambino è figlio di due papà – fatti salvi i casi di adozione -, è evidente che si è fatto ricorso alla surrogazione di maternità». Per questo i sindaci, in forma cautelativa, specificano di voler procedere alle trascrizioni solo per coppie di mamme. Anche secondo l’avvocato Miri, dunque, i sindaci si sono fatti cogliere dall’esplosione mediatica per sottolineare la volontà di continuare a trascrivere i certificati stranieri con due madri: «Mi tocca ripeterlo, però, che non c’è alcuna novità. Anzi, c’è un colpevole ritardo nell’iniziativa dei sindaci: queste registrazioni dovevano essere fatte già dal 2016, dalle prime sentenze, applicando una giurisprudenza che avrebbe fatto risparmiare alle coppie tempi e costi dei processi». Mentre, per quanto riguarda le altre due casistiche, ovvero quelle dei figli di coppie di madri nati in Italia o all’estero ma due padri, c’è una giurisprudenza univoca che esclude la legittimità degli atti di filiazione.

Le altre due casistiche

«Sulla base della giurisprudenza e stando alla circolare del Viminale, posso capire la cautela dei sindaci. Su queste due casistiche si è espressa la Cassazione a sezioni unite – per i due padri – e nove sentenze della Cassazione – contro la registrazione di due madri per i bimbi nati in Italia -. Ma è anche vero che alcuni tribunali hanno dissentito dall’orientamento della Cassazione». Inoltre, «va evidenziato che i sindaci, trascrivendo i certificati esteri di due madri, non stanno facendo alcun atto di disobbedienza civile». L’avvocato Miri continuerà a portare avanti la battaglia, nei suoi ricorsi in tribunale, per la trascrizione integrale dei certificati che riguardano tutti i casi di coppie omogenitoriali. Per lui, è superiore l’interesse dei figli: «Nemmeno per un istante, quando un bambino varca il confine italiano ed entra nel nostro Paese, deve perdere il riconoscimento legale di uno dei due padri».

«Un gattopardismo anagrafico» tutto italiano

Questo limbo in cui si trovano diverse famiglie omogenitoriali, per il presidente dell’associazione Rete Lenford, è «un gattopardismo anagrafico. Città che vai, figli che trovi». E ritiene che solo una legge possa mettere ordine e sanare un’ingiustizia: «Perché un bambino che arriva in una città italiana rispetto a un’altra deve subire il percorso dell’adozione e un altro, invece, può usufruire della trascrizione?». Nonostante Miri segua diverse coppie omogenitoriali, mette in allerta sui tempi e i costi dei processi che potrebbero essere affrontati qualora le registrazioni venissero impugnate. «I genitori, purtroppo, devono prendere in considerazione anche questo. E non c’è solo un problema di tempi: cosa c’è di peggio che affrontare un percorso giudiziario che, dopo anni, potrebbe condurti a perdere la genitorialità di quello che fino a oggi è stato riconosciuto come tuo figlio?». L’avvocato conclude sostenendo che «davanti a un Parlamento che appare sordo, l’augurio è che intervenga la Corte Costituzionale per colmare il vuoto normativo. I sindaci? Ognuno ha la sua posizione. Le Camere? Due anni fa sono state sollecitate dalla magistratura a legiferare sul tema. Eppure non è cambiato nulla. Che sia la Corte Costituzionale a ristabilire, urgentemente, i principi della Costituzione».

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