Laura Bonafede, la maestra che si scriveva con Matteo Messina Denaro, è stata arrestata dai Ros a Trapani. L’insegnante era stata sospesa dall’istituto Capuana-Pardo di Castelvetrano. Ovvero lo stesso frequentato dal boss negli Anni Settanta. Lei e l’Ultimo dei Corleonesi erano stati immortalati il 14 gennaio del 2023, due giorni prima dell’arresto di ‘U Siccu. Una telecamera di un supermercato li aveva colti mentre scambiavano qualche parola. Bonafede era indagata da quasi un mese nell’ambito dell’inchiesta sulla latitanza del boss. La sua abitazione era stata perquisita nei giorni scorsi. L’accusa per Bonafede è di aver favorito la latitanza di Messina Denaro. Con il boss si era scambiata anche alcuni pizzini. Nel frattempo numerosi perquisizioni stanno andando avanti nella provincia di Trapani nell’ennesima operazione contro i fiancheggiatori del boss.
L’accusa
Nell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Bonafede si scrive che l’insegnante avrebbe provveduto alle necessità di vita quotidiana del latitante, gli avrebbe fatto la spesa per fargli avere rifornimenti temendo che potesse essere contagiato dal Covid e non potesse uscire, avrebbe condiviso con lui un linguaggio cifrato per tutelare l’identità di altri protagonisti della rete di protezione del boss e curato con maniacale attenzione la sua sicurezza. La maestra sarebbe stata, dunque, uno dei perni intorno al quale ha ruotato la clandestinità di Messina Denaro già a partire dalla metà degli anni Novanta. Laura è figlia del boss Leonardo Bonafede, che risiedeva a Campobello di Mazara.
La famiglia
Cugina del geometra Andrea Bonafede che ha prestato l’identità al boss, cugina del dipendente comunale, anche lui di nome Andrea Bonafede, che ha provveduto a fargli avere le ricette mediche necessarie alle terapie da affrontare per le cure del cancro, e di Emanuele Bonafede, uno dei vivandieri del padrino arrestato insieme alla moglie, la maestra è sposata con il mafioso ergastolano Salvatore Gentile, in cella per aver commesso due efferati omicidi su ordine proprio di Messina Denaro. Quelli di Pietro Calvaruso e di Niccolò Tripoli tra il settembre 1991 e il gennaio 1993. In un pizzino indirizzato alla famiglia Messina Denaro parla della figlia, Martina Gentile, e del necrologio riservato al nonno in cui si diceva “onorata di appartenerti”. Messina Denaro la mette a confronto con sua figlia Lorenza Alagna per rimproverarla.
L’indagine su Martina Gentile
Martina Gentile, la figlia di Laura Bonafede, è indagata per lo stesso reato della madre. Ovvero il favoreggiamento della latitanza di Messina Denaro. La Procura aveva chiesto per la ragazza gli arresti domiciliari, ma il gip ha rigettato l’istanza per mancanza dei gravi indizi di colpevolezza. Pur stigmatizzando i comportamenti della giovane, legata al capomafia da un forte rapporto di affetto. Il boss, Martina e la madre avrebbero condiviso anche periodi di convivenza durante la latitanza di Messina Denaro. I carabinieri del Ros dopo l’arresto del latitante, hanno trovato una lettera scritta da Martina al capomafia che svela secondo il gip «un affetto quasi filiale nei confronti di Messina Denaro. Affetto, peraltro, intensamente contraccambiato da quest’ultimo. Che apprezzava, soprattutto, l’adesione di Martina ai valori mafiosi del nonno Leonardo Bonafede. Mettendola a confronto con i differenti comportamenti della propria figlia naturale».
I rapporti con l’Ultimo dei Corleonesi
Martina Gentile per il magistrato «ha certamente intrattenuto col latitante rapporti epistolari». E lo ha fatto «utilizzando gli stessi nomi convenzionali già contenuti nella corrispondenza tra la madre e il boss. Dunque, è stata certamente (almeno parzialmente) messa a conoscenza di tale ‘codice’ necessario per preservare la latitanza di quest’ultimo». Nonostante questo, per il magistrato, a carico della ragazza non risulterebbero condotte concrete di favoreggiamento. Dopo una lunga frequentazione col boss, la giovane non l’avrebbe infatti più visto se non, per caso, il 21 dicembre 2022 (come racconta lei stessa in una lettera). E sarebbe rimasta all’oscuro della grave malattia di cui il capomafia soffre. Per il giudice inoltre è insufficiente, «anche per la sua indeterminatezza ed assenza di concretezza», la generica disponibilità manifestata dalla ragazza al latitante con la frase, scritta in una lettera: «Se posso fare qualcosa per te».
L’operazione
Laura Bonafede, dopo avere conosciuto Matteo Messina Denaro nel 1997, ha addirittura «instaurato con lo stesso uno stabile rapporto quasi familiare». Coinvolgendo anche la figlia Martina Gentile. Il rapporto è «durato dal 2007 sino al dicembre 2017 quando venne necessariamente interrotto a seguito di un importante ennesima operazione di polizia», scrive il Gip nell’ordinanza. Il rapporto è ripreso negli ultimi anni sino all’arresto del latitante. L’operazione costituisce il proseguimento dell’indagine che il 16 gennaio ha portato all’arresto del boss latitante. E dei suoi fiancheggiatori Giovanni Luppino, Andrea Bonafede, il medico Alfonso Tumbarello, la sorella del boss Rosalia Messina Denaro, Andrea Bonafede, Emanuele Bonafede e Ninfa Lorena Lanceri.
L’incredibile latitanza del boss da uomo normale
Il gip Montalto parla anche di scoperte sconcertanti nell’inchiesta odierna. Dalle indagini del Ros risulta che la donna abbia frequentato il boss per anni durante la latitanza e abbia anche convissuto con lui in certi periodi. «Quel che disorienta è che in tutto questo lunghissimo arco temporale la tutela della latitanza di Messina Denaro è stata affidata, non a soggetti sconosciuti ed inimmaginabili bensì ad un soggetto conosciutissimo dalle forze dell’ordine». E cioè, secondo il giudice, a quel Leonardo Bonafede da sempre ben noto, oltre che come reggente della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, «soprattutto per la sua trascorsa frequentazione ed amicizia con i[ padre di Messina Denaro».
Insuccessi incredibili
Le indagini dei carabinieri del Ros seguite alla cattura del padrino, secondo il giudice, «mettono in luce l’incredibile ed inspiegabile insuccesso di anni ed anni di ricerche in quella ristretta cerchia territoriale compresa tra Castelvetrano e Campobello di Mazara, costantemente setacciata e controllata con i più sofisticati sistemi di intercettazioni e di videosorveglianza di tutti i luoghi strategici che, tuttavia, come oggi si è scoperto, non hanno impedito che il più ricercato latitante del mondo potesse condurre, in quegli stessi luoghi e per molti anni (almeno ventisei), una ‘normale’ esistenza senza neppure nascondersi troppo, ma anzi palesando a tutti il suo viso riconoscibile (almeno per i tantissimi che lo avevano conosciuto personalmente)». Come ciò sia potuto accadere, ripete il giudice, «appare al momento inspiegabile e non privo di conseguenze», conclude.
I covi e il linguaggio cifrato di Mmd
Il Gip fa anche sapere che nell’inchiesta mancano ancora i covi: «La cura quasi maniacale del latitante nella annotazione di qualsiasi accadimento della sua vita, nella tenuta di diari e quaderni in cui trascriveva anche commenti, non può fare dubitare dell’esistenza di materiale di ben altra importanza sugli affari criminali di Messina Denaro custodito in altri covi non ancora individuati». E di cui peraltro v’è già traccia in alcune delle corrispondenze tra il latitante e Laura Bonafede. Che pure mostra di conoscerli. Nell’ordinanza si parla anche del linguaggio cifrato del Boss. “Amico mio”, “Cugino”, “Blu”, “Venesia” erano i nomi coi quali chiamava nelle lettere gli arrestati. Il linguaggio criptato, che piano piano i carabinieri del Ros e i pm stanno decifrando, è molto complesso. Per esempio la figlia della Bonafede, Martina Gentile, indagata per favoreggiamento, è “Tany” o “Cromatina”; la sorella del boss, Rosalia, in gergo era “fragolone”; i due vivandieri Emanuele Bonafede e la moglie Lorena Lanceri “Maloverso” e “Diletta” o “Lest”; l’auto del boss “Margot”. Per Campobello di Mazara il capomafia aveva preso in prestito da Marquez il nome di “Macondo”, mentre la località di mare di Triscina era “Macondino”.
La malattia
Messina Denaro era “Depry”, la malattia di cui soffre “la romena”, la clinica dove faceva le terapie “lo squallido”, “Aragona” era Castelvetrano, “Donna” la madre della Bonafede, “Uomo” il padre, il boss Leonardo. «Tu sai che non piango facilmente ma è da un po’ di mesi che appena penso e parlo di Uomo piango e quando leggo e penso a Depry piango. È sinonimo di impotenza, non posso far niente per cambiare questa realtà», scriveva la Bonafede a Messina Denaro fingendo di parlare di una terza persona (Depry). Restano decine i nomi in codice da interpretare.
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