Def, alla fine la maggioranza ce la fa: 221 voti a favore. Ma la seduta della Camera viene sospesa più volte

Malori, bagarre, cartelloni e cori: il passaggio in Parlamento del Documento economia e finanza 2023 è tra i più complicati della XIX legislatura

La risoluzione sullo scostamento di bilancio, imprescindibile per l’approvazione del Def, è passata. Con 221 voti a favore, la maggioranza ha superato la soglia della maggioranza assoluta, pari a 201 nell’emiciclo di Montecitorio. Ma la seduta di oggi, venerdì 28 aprile, che doveva riparare agli errori commessi ieri – il centrodestra ha visto bocciare la sua risoluzione perché i suoi parlamentari erano assenti in Aula al momento del voto -, è stata particolarmente complicata. E non è detto che la pratica relativa al Documento economia e finanza 2023 sia del tutto risolta: anche il Senato deve esprimersi sul testo che prevede uno scostamento di 3,4 miliardi nel 2023 e 4,5 miliardi nel 2024. A Palazzo Madama, le opposizioni hanno annunciato battaglia: nella commissione Bilancio è stata presentata una richiesta formale affinché la nuova relazione al Def, cambiata leggermente dal Consiglio dei ministri lampo di ieri sera, sia validata dall’Ufficio parlamentare di bilancio, l’Upb. Inoltre, il centrosinistra ha preteso la presenza del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, per spiegare le finalità inedite inserite nella nuova relazione.


La richiesta delle opposizioni

«Il governo – ha spiegato Antonio Misiani, capogruppo del Partito democratico in Commissione Bilancio – ha aggiunto nella nuova relazione una nuova finalizzazione dello scostamento 2023 – sostenere le famiglie con figli – senza evidenziare al Parlamento quante risorse saranno destinate a questo obiettivo è quante al sostegno del potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti. Questo cambiamento in corsa dell’utilizzo dello scostamento 2023 potrebbe modificarne gli effetti macroeconomici. Non si ha però notizia di una nuova validazione da parte dell’Upb. Per questo, abbiamo ufficialmente chiesto di fare intervenire in commissione bilancio Senato la presidente dell’Upb e il ministro Giorgetti. Quanto è successo ieri è molto grave, ma il governo non può pensare di cavarsela con un approccio meramente burocratico. Il Parlamento ha diritto a risposte chiare e circostanziate su come verranno utilizzati i soldi dello scostamento definito dalla nuova relazione». Stando al regolamento del Senato, è sufficiente che un terzo dei componenti della Commissione avanzino questo genere di richieste affinché esse possano essere accolte. Numeri di cui le opposizioni dispongono.


La seduta di Montecitorio

Gli interventi in Aula sono stati molto ruvidi. Angelo Bonelli ha sollevato un cartellone che, ironizzando sulla campagna di comunicazione con la Venere del Botticcelli del ministero del Turismo, mostrava la scritta: «Open to incompetenza, by governo Meloni». Dopodiché, il deputato di Alleanza verdi e sinistra ha avuto un malore e la seduta è stata interrotta. Bonelli è stato ricoverato al Gemelli per ulteriori accertamenti. Seduta ripresa. Quando poi ha preso la parola il capogruppo di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti, il Pd ha fatto partire un applauso – di scherno – poiché il deputato ha chiesto «scusa agli italiani». Si sono scaldati i toni. L’esponente della destra si è rivolto direttamente alle opposizioni – e non alla presidenza della Camera, come da regolamento -, invitando a «guardare alle loro assenze nei ponti festivi». Foti ha calcato la mano irridendo Debora Serracchiani, ex capogruppo Pd a Montecitorio: «Chiedeva le dimissioni di tutti. Peccato che si sia dimessa lei». Il riferimento è al caso DonzelliDelmastro. Poi, nella bagarre, sono partiti i cori di Fratelli d’Italia: mentre i Dem stavano abbandonando l’Aula in segno di protesta, gli esponenti della maggioranza gridavano «fuori, fuori!». Seduta sospesa, ancora una volta, e tentativo del deputato Pd Nico Stumpo di raggiungere i banchi di FdI, per un confronto che rischiava di passare per le “vie brevi”. Fermato dai commessi, in seguito ha spiegato: «Devono venire in Aula e votare, non insultarci. C’è un limite a tutto. Non è mai successo che il partito di maggioranza dicesse all’opposizione “fuori, fuori”. Hanno fatto i cori in aula, mai successo».

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