Eurovision , Gigliola Cinquetti 59 anni dopo la vittoria: «Che emozione i giovani che cantano la mia canzone» – L’intervista

L’artista racconta a Open l’anno in cui la sua vita è cambiata per sempre, e come si è evoluto il contest nei decenni passati

«Non aveva l’età» quando ha toccato la vetta della musica europea, e adesso – a distanza di quasi 60 anni – Gigliola Cinquetti continua a manifestare nei confronti della musica e del palcoscenico lo stesso entusiasmo di quando, appena 17enne, portò a casa il primo posto a Sanremo e all’Eurovision. Era il 1964, e da allora la sua carriera è decollata: in Italia e all’estero, nelle vesti di musicista e conduttrice. Ma anche attrice: ci risponde proprio dal set della commedia che sta girando, L’età giusta, diretta da Alessio Di Cosimo e interpretata da Valeria Fabrizi, Alessandro Bertoncini, Giuliana Loiodice, Paola Pitagora, Giuseppe Pambieri e Iole Mazzone. Un impegno che definisce «totalizzante», tanto che a malapena le sta permettendo di seguire l’Eurovision in corso.


L’edizione passata, però, l’ha seguita per forza di cose: è tornata come ospite per ricantare il suo grande successo.

«L’anno scorso è stata una bellissima emozione per me, ho avuto un’accoglienza affettuosissima, stupenda. E’ stato bello sentire tutto il pubblico che cantava insieme a me Non ho l’età: è stata una grande gioia».


Se lo aspettava?

«Ci speravo. Sapevo che la mia canzone aveva lasciato un segno, soprattutto all’estero, è stato un fenomeno globale… Quello che non mi aspettavo è che il pezzo fosse così conosciuto anche tra le generazioni più giovani. Il coro di Torino mi ha commosso perché non erano il mio pubblico, ma quello dell’Eurofestival, che non è necessariamente tenuto a ricordarsi una canzone che sta per compiere 60 anni».

Prima di salire sul palco dell’Eurovision 2022 ha dichiarato di non sentirsi pronta, e che probabilmente «non lo sarà mai».

«Ogni volta mi domando chi me l’ha fatto fare, perché è dura. Ma devo dire anche che ho imparato a convivere con questa emozione, e mi ha dato tanto. Perché vede, il punto è questo: non si tratta di timore. Quando uno è professionista, ormai, ha l’esperienza per affrontare il pubblico… il problema è un altro: è che non do mai niente per scontato. Non penso di avere diritto al successo, penso sempre di dovermelo guadagnare e che non è detto che il miracolo si ripeta. E quando invece poi puntualmente si ripete è una cosa che proprio mi porto a casa, mi scalda il cuore, mi dà energia… poi ci campo di rendita per mesi».

Se non si sente pronta dopo tutti questi anni e successi, sarà stata dura cantare per la prima volta al Gran Premio Eurovisione della Canzone.

«Ero abbastanza incosciente, se mi fossi resa conto mi sarei paralizzata. Non so dirle come ho fatto, ma è capitato. Ci è voluto molto tempo poi per elaborarla questa esperienza, lì per lì era troppo più grande di me. Tutto all’improvviso, uno sconvolgimento».

Come cambiò la sua vita?

«Mi si è aperto un mondo, proprio nel senso che ho iniziato a conoscerlo: viaggi, tournée, l’approccio con altre culture, lingue, Paesi… Per me è stato sempre più facile esibirmi all’estero che in Italia: la mia tranquillità è direttamente proporzionale alla distanza che prendo dal paese che amo. Già quando ero giovanissima e una dilettante e mi trovavo davanti al pubblico, preferivo che non ci fosse nessuno di mia conoscenza, perché mi imbarazzavo. Se erano degli sconosciuti, ero più tranquilla… se erano europei, meglio ancora… se erano giapponesi, poi, tranquillissima».

Cos’è stato, per lei, Sanremo?

«Il passaggio dall’anonimato alla popolarità. Con tutte le responsabilità enormi che la notorietà comporta. Ricordo il momento preciso che ha segnato questa transizione: è stato dopo la prima serata, ancor prima della vittoria, quando mi sono accorta che la gente mi riconosceva. La mia apparizione televisiva aveva comportato un cambiamento nel modo con cui le persone interagivano con me. Mi fermavano per strada, fui anche aggredita da un gruppo di fanatici. Lì ho capito che avevo perduto qualcosa di importante: la libertà che di offre l’anonimato. Ma avevo anche guadagnato qualcosa in cambio: la popolarità ha i suoi aspetti positivi. Soprattutto adesso che sono grande: vedere l’affetto delle persone mi sembra un privilegio enorme».

Ha seguito l’ultima edizione del Festival?

«Certo! Marco Mengoni mi piaceva, secondo me è stata una vittoria meritata. Mi piacevano anche i Colapesce Dimartino, l’anno scorso invece La Rappresentante di Lista. E poi i Coma_Cose, mi stanno molto simpatici: li ho conosciuti una volta che stavamo tutti e tre in fila per un tampone. Il bacio tra Rosa Chemical e Fedez? Me lo aspettavo, mi sarebbe sembrato strano il contrario. Al festival queste cose sono ormai praticamente dovute».

Cosa è cambiato nel corso del tempo?

«Sanremo è in continua trasformazione, ed è il motivo della sua longevità: cambia pelle quasi ogni anno, e questo è il suo segreto. Io non vedo alcuna continuità con il passato. A parte noi, il pubblico, con la nostra memoria, con le nostre emozioni, e la voglia ancora di trovare quella canzone che ti fa sentire “popolo”, tutti amici… come fu “Volare”, ma anche la stessa “Non ho l’età”. Quelle canzoni che insomma poi restano».

Come quella dei Maneskin (anch’essa vincitrice dell’Eurovision)?

«Oddio… non lo so. Loro sono stupendi, simpatici, belli e giovani. Da vedere insomma sono uno spettacolo. Ma anche da sentire, suonano molto bene. Poi le canzoni.. francamente non lo so se rimarranno. Anche se ammetto di non conoscere tutto il loro repertorio. Quella con cui vinsero Sanremo comunque rimane in testa, probabilmente ce la ricorderemo tra qualche anno… non so tra quanti però, perché tutto adesso mi sembra che cambi troppo velocemente».

C’è qualcuno che vede all’altezza di resistere al tempo, nel panorama musicale italiano di oggi?

«Non seguo molto le nuove generazioni di artisti. Quando qualcuno è cresciuto avendo come colonna sonora della propria vita De Gregori, Venditti, De Adrè, Battiato… è difficile che poi si gasi tanto per altra gente. Ma anche perché nella mia realtà di oggi non c’è più quella ricettività. Le canzoni sono un mistero, qualcosa di magico, ma per essere pronti a ricevere quella magia dobbiamo avere 20, 30 anni… Dopo, la vita va avanti, e rimaniamo impigliati in quelle canzoni là, quelle che ci hanno fatto vivere i momenti più belli. Ogni generazione ha le sue, e guai a chi gliele tocca. A meno che uno non fa una scelta professionale, giornalistica, per rimanere aggiornata».

A proposito: lei ha avuto una carriera multiforme. Nel 1991 per esempio è tornata sul palco dell’Eurovision come conduttrice, non come cantante.

«Ed è stato decisamente più faticoso. La diretta, che ho fatto con Toto (Cotugno, ndr), è stata chilometrica, lunghissima. E poi condurre è una questione molto tecnica, soprattutto in un Eurofestival che ha duemila lacci e lacciuoli, regole… non è che si possa improvvisare o dilungarsi in considerazioni o battute, che magari uno avrebbe voglia anche di fare».

E l’Eurofestival, è in continuo cambiamento come Sanremo?

«Si è evoluto tantissimo: è diventato megagalattico, un palco che vuole stupire anche attraverso sbrilluccichii, lucentezza, scenografie… Una volta era tutto più semplice. E questo gigantismo rischia di fagocitare gli artisti: fanno più fatica a emergere. Io sono per le cose un po’ più semplici, quello che conta dev’essere la canzone».

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