«Non sapeva mentire» Nino Manfredi, tanto che una volta fu sincero persino con Papa Wojtyla. «Era stato invitato in Vaticano per assistere a una commedia scritta proprio dal Santo Padre, La bottega dell’orefice». Rappresentazione che non gli piacque, racconta il figlio dell’attore morto nel 2004, Luca. Tanto che finito lo spettacolo «tutte le personalità presenti si precipitano dal Pontefice per fargli i complimenti, tipo… “che testo meraviglioso, Santità… perché non ha continuato a scrivere commedie, poteva diventare un grande autore… il teatro ha perso un talento”. Mio padre se ne stava zitto, in disparte: era imbarazzato, perché aveva trovato lo spettacolo piuttosto noioso. Il Papa lo nota e gli chiede: “Lei Manfredi non dice niente?”. Lui risponde: “Santità, se posso permettermi di darle un consiglio… se fossi in voi mi terrei ‘sto posto in Vaticano, perché come commediografo non sareste diventato così famoso”».
Papà tra pregi e difetti
In una lunga intervista al Corriere della Sera a cura di Emilia Costantini, Luca Manfredi racconta il papà tra pregi – «Era un camaleonte: spariva l’attore nella pelle del personaggio. Dino Risi (regista, ndr) lo definì un orologiaio, per la precisione con cui costruiva i suoi ruoli, lavorava come un attore americano» – e difetti: «Non sapeva mai chiedere scusa, anche a torto marcio». E sono proprio le storie intime, tra padre e figlio, a catturare maggiormente l’attenzione: «Vado a trovarlo nella sua villa al mare e, strada facendo, mi compro maschera e pinne, per poi pescare cozze e ricci che lui amava tanto. Quando mi vede pronto a tuffarmi in acqua, mi chiede sospettoso: scusa, ma quelle pinne sono le mie? Io ribatto: no, le ho comprate poco fa. Lui insiste: sono le mie! Io, torno indietro, vado a frugare in casa e trovo le sue: non si ricordava dove le aveva messe e gliele porto sotto al naso. Invece di scusarsi, si limita a rispondere: bè, hai delle pinne che non sembrano le tue… Paradossale».
Le «scappatelle» perdonate dalla moglie
Un rapporto difficile quello tra Luca e Nino. L’attore, tra i più grandi della commedia all’italiana assieme ad Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman e Marcello Mastroianni, era un padre «assente, sempre occupato sui set. Quando era a casa, si chiudeva nel suo studio con gli sceneggiatori. Il merito di portare avanti la famiglia è di mia madre Erminia, che ha sopportato e perdonato le sue varie “scappatelle”: ne ha fatte di cotte e di crude». Un genitore severo, racconta Luca, regista. «Da ragazzino mi rifugiai su un albero in giardino, perché voleva costringermi a mangiare le lumache, che mi fanno schifo. Abbiamo recuperato il rapporto in seguito, cominciando a lavorare insieme», racconta. La pace è stata anche successiva alla morte, con il film dedicatogli dal figlio – In arte Nino – che in onore del padre ha prodotto anche un documentario: Uno, nessuno, cento Nino; e un libro: Un friccico ner core. «Una pacificazione postuma La sua arte lo ha reso immortale. Rivedendo i suoi film, con i suoi movimenti “nineschi”, è come se continuasse a vivere con noi. Un grande privilegio avere un padre così».
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