L’eredità politica di Berlusconi: quale sarà il futuro di Forza Italia?

Una convergenza di interessi, anche economici e politici, potrebbe garantire la sopravvivenza del partito nei prossimi anni

Non si consideri cinico l’affrontare cosa accade a un partito quando il suo leader muore. Ancor di più se quel partito è Forza Italia e il suo presidente, Silvio Berlusconi, ne è stato anche il fondatore, il finanziatore, il volto nazionale e internazionale, la personificazione dei pilastri ideologici sui quali si è retta tutta l’organizzazione. Un partito che, al primo punto del suo manifesto non scritto, vede il culto di Berlusconi, colui da cui tutto è nato, e l’idealizzazione della sua storia personale. Per queste e tante altre ragioni, tra cui la partecipazione numericamente indispensabile nella maggioranza di centrodestra, analizzare ciò che sarà di Forza Italia, dopo Berlusconi, è rilevante. Iniziando dal nome del prossimo presidente. Lo statuto prevede che il presidente del partito sia eletto ogni tre anni tramite un congresso nazionale. Tuttavia, la norma non è mai stata applicata: sarebbe stata una pura formalità la rielezione di Berlusconi e, quindi, nessuno ha mai chiesto di celebrare un congresso del partito. «Ma secondo voi davvero esiste qualcuno in Forza Italia che contesterebbe mai la presidenza di Berlusconi?», dice un parlamentare del gruppo. La sua affermazione è fattuale: da quando, nel 2013, Forza Italia è rinata – dopo la parentesi iniziata nel 2009 con il Popolo della libertà -, non si è mai tenuto un congresso.


Da statuto, spetta al Comitato di presidenza convocare il congresso, fissando una data. Almeno 90 giorni prima della convocazione congressuale, il Comitato deve stabilire delle regole per i seggi elettorali, il voto e lo spoglio, per le modalità di candidatura alla presidenza del partito e allo stesso Comitato di presidenza. Organo, quest’ultimo, che ad oggi non ha avuto modo di incidere nell’organizzazione del partito: tutte le scelte sono rimaste in capo a Berlusconi e al suo inner circle. Guardando al domani, alcuni giornali e i forzisti resistenti alla prevalente linea governista, ritengono che Antonio Tajani, essendo coordinatore nazionale del partito, non abbia agibilità, nonostante Berlusconi abbia cessato di essere presidente. L’incarico di coordinatore, invero, non è incluso nell’organigramma del Comitato di presidenza. Ma i più dimenticano che il ministro degli Esteri, oltre a essere coordinatore nazionale di Forza Italia, è anche l’unico vicepresidente del partito. Nel caso in cui il presidente in carica si dimettesse o venisse a mancare – ipotesi verificatasi oggi, ma che non è contemplata nello statuto -, è consequenziale che il vicepresidente Tajani diventi il presidente facente funzioni.


Le dinamiche di gestione del partito, negli anni, si sono fatte più complesse: con il tempo Berlusconi ha creato strutture e sovrastrutture i cui compiti si sono ingarbugliati tra loro: Ufficio di presidenza, Comitato di presidenza, Consulta del presidente, Consiglio nazionale, Conferenza dei coordinatori. Non essendo mai stato convocato il congresso nell’ultimo decennio, non c’è una prassi a cui far riferimento per sciogliere i processi interni. Ma a livello politico, cosa potrebbe accadere? Innanzitutto, la centralità che fu di Licia Ronzulli e oggi è detenuta da Marta Fascina potrebbe venire meno: ambedue le figure hanno avuto un peso nelle decisioni per la prossimità fisica a Berlusconi. Anche se Fascina, visto l’apporto dato nella riorganizzazione in chiave governista, potrebbe vantare un credito che Ronzulli non ha. Dovrebbe emergere definitivamente il nucleo che segue la linea del coordinatore nazionale e, appunto, presidente facente funzioni, Tajani. Dalla sua, inoltre, il ministro degli Esteri può vantare l’appoggio del capogruppo alla Camera, Paolo Barelli, che ha riottenuto l’incarico a scapito del ronzulliano Alessandro Cattaneo. Il secondo nucleo, quello che ormai appare minoritario, fa riferimento alla capogruppo al Senato, Ronzulli. Depotenziato dalla regia di Arcore, un paio di mesi fa, tra i volti noti che si muovono ancora in questo solco ci sono Cattaneo e Giorgio Mulè.

Il debito da 92,2 milioni verso la famiglia

La verità, però, è che nessuna di queste due fazioni avrà mai il potere di prendere in mano il partito e farlo proprio. Perché il futuro di Forza Italia non può prescindere dalla volontà degli eredi di Berlusconi di mantenere economicamente vivo il partito. Seppure la leadership di Forza Italia finisse nelle mani di Tajani, la sussistenza dell’intera struttura è legata alle volontà della famiglia Berlusconi. Il partito ha accumulato un debito di 92,2 milioni di euro, comprensivi di interessi, nei confronti del Cavaliere. Si tratta di debito diretto che, dopo il suo decesso, Forza Italia deve corrispondere agli eredi di Berlusconi. I figli del Cavaliere, Marina Berlusconi in primis, intendono continuare a garantire l’esistenza di Forza Italia, non reclamando i quasi 100 milioni di euro di crediti ereditati? Qui si innestano almeno due schemi possibili. Il primo, che sembra essersi consolidato nelle ultime settimane, è quello di far coincidere gli interessi politici con gli interessi aziendali della holding di famiglia. Conviene sposare la linea governista, affinché gli affari delle compagnie del gruppo abbiano ancora una certa attenzione nelle scelte di governo. Mediaset, ad esempio, che è diventata MediaforEurope: dopo gli anni del Covid, sta registrando una crescita costante nei ricavi e nella raccolta pubblicitaria.

La convergenza di interessi

Della stretta correlazione tra politica e azienda è indicativo il percorso di Rete 4: l’emittente si sta connotando sempre di più come canale tematico per gli approfondimenti di politica interna. Per inciso, ad Andrea Giambruno, compagno di Giorgia Meloni, è stata affidata la conduzione di un talk politico in prima serata, proprio su Rete 4. A proposito della presidente del Consiglio, non è da sottovalutare il ruolo che giocherà la leader di Fratelli d’Italia nel futuro del partito di Berlusconi. Il suo interesse principale è quello di continuare ad avere una maggioranza stabile: se Forza Italia si sfaldasse, con un Senato in cui solo qualche decina di senatori fa la differenza tra centrodestra e opposizioni, il governo Meloni potrebbe terminare anzitempo il suo percorso. Gli interessi di Tajani, Meloni e famiglia Berlusconi sembrerebbero dunque convergere tutti nella stessa direzione: garantire una Forza Italia governativa.

NewCo e bad company

Arriviamo al secondo schema, che si sviluppa in senso opposto. Il debito di Forza Italia, ad oggi garantito da Silvio Berlusconi, viene ritenuto troppo ingombrante. Se gli eredi decidessero di non tutelare più il partito dal punto di vista finanziario, allora, potrebbe sorgere una sorta di NewCo, una nuova Forza Italia, lasciando nelle mani della vecchia organizzazione un debito da saldare, magari dilazionandolo in molti anni. Un po’ come avvenuto quando la Lega Nord è stata svuotata della sua ragione politica, ma è rimasta in piedi come bad company, e il partito vero e proprio si è ricostituito nella Lega – Salvini premier. Questa seconda opzione, però, sembra più improbabile: questo tipo di operazione impiegherebbe un po’ di tempo prima che la nuova Forza Italia si stabilizzi, causando fibrillazioni all’attuale maggioranza di governo. «Per chi possiede un’impresa mastodontica come Mediaset», chiosa un parlamentare di lungo corso «è molto più utile avere un partito che può agire in parlamento e nel governo per influenzare le scelte politiche, piuttosto che limitarsi a un lavoro di lobbying. Non vedo perché la famiglia Berlusconi dovrebbe privarsi del ramo politico del suo impero economico».

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