Alice Scagni, la procura chiede l’archiviazione per i poliziotti che non inviarono soccorsi. La madre: «Ci considerano colpevoli»

I familiari chiesero ripetutamente l’intervento della forze dell’ordine per i comportamenti aggressivi di Alberto che il 2 maggio 2022 uccise la sorella Alice. I pm: «Non c’era una formale denuncia»

Il genitori di Alice e Alberto Scagni chiamarono le forze dell’ordine 12 volte il giorno prima dell’omicidio, mentre il giorno stesso chiamarono il 112. Ma non avevano formalmente denunciato Alberto, il giovane che poi avrebbe ucciso la sorella Alice, l’1 maggio 2022. Per questo, nonostante le ripetute chiamate sia in questura, sia al centro di igiene mentale dove Alberto era in cura (le richieste di contatto furono 60), con Alberto che in preda a crisi psicotiche minacciava di morte il padre e, in un altro caso, avrebbe anche stretto le mani intorno al collo della nonna, la procura ha chiesto l’archiviazione. Perché, secondo la procura, si trattava di semplici telefonate: «La mancanza di una denuncia ha impedito la conoscenza di tutte quelle circostanze e dei fatti che avrebbero potuto costituire elementi utili a inquadrare la situazione e a valutarne in anticipo la pericolosità», scrivono i pm.


La condotta dell’operatore del 113

Continua il testo: «La condotta dell’operatore 113 e del suo superiore in servizio alla sala operativa l’1 maggio 2022, deve essere vagliata esclusivamente sulla scorta delle informazioni fornite nel corso della telefonata da Graziano Scagni». Durante la chiamata, il padre Graziano Scagni, aveva detto all’operatore del 113 «mio figlio minaccia di tagliarci la gola» per poi chiedere con insistenza che venisse mandata una volante. Proprio quel mancato intervento sarebbe la causa della morte secondo i genitori. «Senza denuncia non possiamo arrestare nessuno, non funziona così. Lei ha mai fatto denuncia?», gli aveva chiesto l’operatore. «No, non l’ho mai fatta perché la situazione è peggiorata da poco tempo. Ma come faccio a denunciare? Lui mi ha tagliato le gomme, ha minacciato di tagliarmi la gola», rispondeva il signor Scagni. L’agente – era il 1 maggio, festa nazionale e per di più domenica – gli aveva quindi ribadito la necessità di fare denuncia, per poi gli chiedergli dove abitava, come si chiamava e quando era nato.


«Il mancato intervento»

«Appare chiaro – continua la procura di Genova nel comunicare il proprio verdetto alla conclusione delle indagini su due poliziotti e una dottoressa – che l’invio della volante in soccorso è strettamente legato non solo al tipo di evento rappresentato ma soprattutto al fatto che vi sia in atto un concreto e attuale pericolo per l’incolumità delle persone. Questo deve essere certamente ravvisato nella presenza sul luogo dell’intervento della persona fonte di pericolo». E Alberto, in quel momento non si trovava sotto casa dei genitori o della sorella. Insomma, dicono i pm, nessuna responsabilità per i due funzionari della Questura inizialmente indagati per omessa denuncia e stesso discorso per la dottoressa della Asl che aveva in cura Alberto, contattata nei giorni precedenti all’uccisione di Alice, avvenuta lunedì 2 maggio nel pomeriggio, che si sarebbe limitata a confermare l’appuntamento per quel giorno. «L’accertamento sanitario obbligatorio – è scritto nel documento – è deciso dal medico psichiatra in via eccezionale qualora ci sia il sospetto di alterazioni psichiche gravi e quando sono stati vanamente esperiti tutti i tentativi di contattare la persona per acquisire il suo consenso alla visita».

La madre: «Così diventiamo noi colpevoli»

«Siamo stati messi sotto accusa noi genitori per tutto quanto accaduto. Forse ne siamo responsabili. Ci è sembrato naturale cercare di proteggere i nostri figli e noi stessi, cercando di chiedere aiuto alle istituzioni», così la madre di Alice commenta la decisione della procura. «Nei giorni precedenti l’uccisione di Alice – continua durissima Antonella Zarri citata da Repubblica – abbiamo tentato di contattare per oltre 60 volte il centro di salute mentale cui c’eravamo rivolti per l’impressionante progressione della malattia mentale di nostro figlio. Abbiamo più volte chiamato il 113 perché spaventati dal degenerare inesorabile della situazione. Ci è stato risposto di chiuderci in casa fino al lunedì successivo. Era Domenica. La nostra famiglia non è arrivata a Lunedì. Siamo noi colpevoli?». L’avvocato della famiglia, Fabio Anselmo, ha annunciato che la famiglia di opporrà alla richiesta di archiviazione: «È una richiesta di archiviazione che si oppone da sola», ha chiosato.

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