Emanuela Orlandi, lo Ior e i soldi della criminalità: «È stato un ricatto al Vaticano»

Il giornalista Nuzzi: indagine intossicata, c’è stata una trattativa per il riciclaggio

Il giornalista Gianluigi Nuzzi parla oggi in un’intervista al Quotidiano Nazionale del caso di Emanuela Orlandi. E ipotizza che l’Istituto per le Opere di Religione (lo Ior) e i soldi della criminalità siano alla base di un ricatto al Vaticano. Che avrebbe portato alla scomparsa della “Vatican Girl”. «Credo che questa indagine abbia subito una vera intossicazione. Una serie infinita di fumogeni lanciati per rendere impenetrabile l’accesso alla verità stessa. Fumogeni lanciati non per proteggere chissà quale cardinale, Papa o presidente del mondo. Ma per ricattare, fare pressioni nell’ambiente vaticano. Affinché si esercitassero dei poteri all’interno di dinamiche soprattutto finanziarie che c’erano tra soggetti criminali e lo Ior», sostiene il giornalista nel colloquio con Nina Fabrizio.


La prospettiva storica

La prospettiva storica di cui parla Nuzzi è il collegamento tra il crack del Banco Ambrosiano, le responsabilità dello Ior e la scomparsa della ragazza. Che sparisce un anno dopo la morte (ovvero l’omicidio) di Roberto Calvi, ritrovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra. E per il quale il giudice ha assolto per insufficienza di prove Flavio Carboni, Pippo Calò, Licio Gelli, Francesco Pazienza ed altri. «In questa vicenda considero il Vaticano come istituzione, non come uomini, e come parte lesa», esordisce Nuzzi. «Naturalmente in maniera del tutto diversa dalla famiglia Orlandi. Molti depistaggi non hanno avuto lo scopo di coprire personaggi eccellenti ma di ricattare e minacciare. C’è un punto a tutt’oggi trascurato ma interessante», sostiene.


La chiusura dei conti dello Ior

Ovvero la chiusura dei conti dello Ior prima dell’elezione di Papa Francesco. «Prima che arrivi papa Francesco, accade che allo Ior chiudano centinaia di conti privati. Conti non riconducibili a enti o soggetti religiosi, quindi che non avevano diritto a essere lì. Un movimento massiccio e unisono apparentemente inspiegabile. Per cambiare banca ci devono essere dei motivi, invece questa movimentazione improvvisa anticipa addirittura le dimissioni di Benedetto XVI», dice Nuzzi. Le sentenze sulla morte di Calvi ritengono accertato che l’Ambrosiano fungesse da centrale di riciclaggio dei soldi che arrivavano all’Istituto. Il collaboratore di giustizia Nino Giuffré ha sostenuto durante i processi che lo Ior fosse il luogo in cui i boss di Cosa Nostra portavano («in contanti») i soldi a riciclare fin dall’inizio degli Anni Settanta.

La pista internazionale e il caso Meneguzzi

Per Nuzzi la pista del terrorismo internazionale va esclusa. «Se andiamo a guardare le carte dell’inchiesta vediamo la quantità di veline anonime recapitate in mezzo mondo che a un certo punto fecero accendere la pista turca. Un caravan serraglio che poi però sfuoca la storia». Così come la pista familiar amicale, tornata in auge dopo i documenti inediti di Casaroli su Mario Meneguzzi e Natalina Orlandi: «Qui il Vaticano dopo decenni di silenzi finalmente ha battuto un colpo. Incredibilmente ha trovato dei documenti che ha trasmesso alla procura di Roma e questo dimostra due cose. Uno, che dei documenti c’erano al contrario di quanto affermato fino a ieri. E due, che come pista era stata già scartata».

La commissione di inchiesta

«La storia dello zio potrebbe essere stata una mossa per far rientrare la vicenda in una dimensione familiare quindi non meritevole di una commissione di inchiesta. Per renderla così superflua», aggiunge Nuzzi. Il quale si dice anche convinto che il Vaticano possieda altri documenti: «Ricordiamoci che avevano dedicato una linea telefonica che rispondeva direttamente a Casaroli». E aggiunge che la storia della tomba di De Pedis a Sant’Apollinare e quella delle ossa al Cimitero Teutonico va approfondita: «Qui l’unica cosa interessante è che gli scavi alla tomba vengono fatti e poi interrotti. Alla repertazione delle ossa mancano diverse cassette di zinco. Gli inquirenti dissero semplicemente che non erano afferenti alla famiglia Orlandi. Ma nessuno può dire il contrario, nessuno ha potuto fare delle controperizie. Le cassette sono state messe via e basta».

La trattativa

Infine, la presunta trattativa di cui ha parlato il magistrato Giancarlo Capaldo: «Anche qui ci sono punti oscuri. Il Vaticano dice che il magistrato Capaldo ha capito male, Capaldo a sua volta un poco nicchia. Che ci siano stati contatti tra lui e i vertici della Gendarmeria di allora è fatto del tutto normale. Mi interessano più i colloqui successivi con esponenti della Curia romana, su questo aspetto».

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