Russia: anche il diritto d’aborto è in pericolo, per le pressioni della Chiesa e la guerra in Ucraina

Recentemente, il ministro della Sanità Mikhail Murashko ha invitato le donne ad abbandonare la carriera per dedicarsi alla maternità

Un altro diritto civile sarebbe in serio pericolo in Russia: a causa del calo demografico in tempi di mobilitazione, dei caduti al fronte e di un’ingerenza sempre maggiore della Chiesa Ortodossa, a vacillare sarebbe il diritto all’aborto. Lo racconta la Repubblica, che spiega come l’ultimo assalto sia arrivato dalla Repubblica di Mordovia, ovvero la prima regione della Federazione russa ad aver introdotto il «reato d’influenza all’aborto», fattispecie che proibisce di «influenzare» le donne a interrompere la gravidanza. Ma la graduale criminalizzazione della procedura è iniziata in concomitanza con l’invasione in Ucraina, quando il ministero della Sanità dal sostenere la pericolosità del divieto di aborto ha cominciato ad allinearsi con la Chiesa per sopperire alle perdite registrate sul campo di battaglia. Recentemente, il ministro della Sanità Mikhail Murashko ha definito la gravidanza una «responsabilità» delle donne nei confronti del Paese, che dunque dovrebbero lasciare studi e carriera per dedicarsi alla maternità.


La «settimana del silenzio»

Murashko si è dichiarato anche favorevole all’introduzione di «controlli rigorosi» sulla vendita delle pillole abortive nelle farmacie. E al divieto di praticare aborti nelle cliniche private, così che alle donne che desiderano interrompere la gravidanza non rimarrebbe altra opzione che quella degli ospedali statali. Una strada irta di ostacoli, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe dalla legislazione straordinariamente progressista che vige nel Paese (che prevede la possibilità di abortire fino alla 12esima settimana di gravidanza e, in casi eccezionali come lo stupro o la morte del marito, fino alla 22esima). Per esempio, prima della procedura la paziente è costretta a sottoporsi a una consulenza che dovrebbe essere volontaria, un tempo di riflessione che va dai 2 ai 7 giorni. Se alla fine ci ripensa, i medici vengono ricompensati. Viene chiamata la «settimana del silenzio», ed è stata introdotta nel 2011 su pressioni della Chiesa, che non fa mistero della sua crociata. Il patriarca Kirill, per esempio, da anni propone di rimuovere l’aborto dalle prestazioni coperte dal servizio sanitario nazionale. In quanto, dal suo punto di vista, i contribuenti non dovrebbero pagare per l’infanticidio. Ma tra l’ideologia degli uomini e i desideri delle donne c’è una netta discrepanza: lo scorso anno, scrive la Repubblica, la domanda di farmaci abortivi in Russia ha raggiunto il massimo storico: sono stati venduti in totale 1,4 milioni di farmaci che inducono aborti e 2,2 milioni di pillole del giorno dopo, rispettivamente il 60% e 53% in più rispetto al 2021.


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