Licenziato perché rifiuta l’aereo, parla il climatologo Gianluca Grimalda: «Pago il mio attivismo: ecco come tornerò» – L’intervista

Il ricercatore racconta a Open la sua scelta: «È il prezzo da pagare, fa parte della disobbedienza civile»

Sono l’1:30 di notte in Papua Nuova Guinea quando il ricercatore e climatologo del Kiel Institute Gianluca Grimalda risponde al telefono. Viene da una giornata intensa divisa tra l’organizzazione del suo viaggio di ritorno, rigorosamente senza aerei, e le tante telefonate di chi gli chiede di raccontargli la sua storia. Il ricercatore dice di non sapere ancora con certezza se alla fine verrà licenziato o meno per aver disatteso l’ordine della sua società di rientrare immediatamente in ufficio. A Open ha spiegato che proseguirà con la sua scelta e ha anche adombrato cosa ci possa essere dietro la risoluzione del suo contratto: «È possibile che abbiano voluto colpire il mio attivismo».


Come sta?


«Sono stanco, ma penso di aver fatto la cosa giusta. Speravo che mio padre non leggesse nulla ma avrà sicuramente visto la notizia che circolava online. Mi ha chiamato piangendo e dicendo che non posso perdere il posto, che è una cosa infamante farsi licenziare. Mi ha detto di pensare al mio lavoro e che sto facendo un’azione ai limiti della follia. Tuttavia pure questo fa parte della disobbedienza civile, è il prezzo da pagare».

Ha avuto notizie dall’istituto Kiel?

«Ieri e oggi non ho ricevuto nessuna comunicazione, magari ci stanno ripensando dopo tutta l’attenzione mediatica che la mia battaglia ha ricevuto. Ho fatto anche un’ingiunzione di pagamento che scade domani perché comunque ho lavorato per tutto il mese di settembre».

Era anche disposto a mettersi in aspettativa non retribuita pur di non pesare sull’azienda e non caricarla di responsabilità nel caso di qualche incidente di percorso…

«Da un punto di vista formale l’istituto ha ragione, il mio permesso all’estero durava fino al 10 settembre, ma non c’è nulla che non possa fare in viaggio. Lavoro così da 10 anni, in Germania non ho alcun impegno: non insegno, non tengo corsi, non devo seguire seminari. Lavorerei da solo nel mio ufficio. È possibile che abbiano voluto colpire la mia appartenenza in passato a Scientist rebellion (movimento internazionale di scienziati e accademici che lotta per la giustizia climatica) che aveva colpito alcuni interessi della mia azienda. Ho questo sospetto. Loro non possono fare nulla contro la mia disobbedienza civile, che compio quando sono in vacanza, ma è possibile che si siano legati al dito questa mia attività».  

Quando inizierà il suo viaggio di ritorno?

«Lunedì partirò con una nave mercantile. Ho dovuto attendere l’autorizzazione dell’autorità nazionale mercantile, perché la nave non potrebbe trasportare passeggeri. Con mia sorpresa non ho dovuto aspettare molto».

La sua iniziativa ha raccolto molto sostegno sui social…

«Ho ricevuto molti messaggi di supporto è vero. Alcuni ricercatori hanno dichiarato che viaggeranno lentamente da questo momento in poi. Prima del viaggio di andata su X/Twitte mi hanno fatto notare che pochi si possono permettere un viaggio di 35 giorni, come ho fatto io. Io ho risposto che ognuno nel proprio ambito, nel suo piccolo, dovrebbe spingere i confini dalla norma all’accettabile. Nei propri limiti ognuno può impegnarsi. Non dobbiamo però dimenticare che la responsabilità maggiore è delle grandi aziende e della popolazione più ricca. Il 10% della popolazione che detiene più ricchezza emette il 50% della CO2. Dobbiamo far pagare chi inquina di più. Anche l’obiettivo di arrivare al net zero nel 2050 (ovvero ridurre a 0 le emissioni di anidride carbonica) è solo un modo per procrastinare e non prendere provvedimenti seri di mitigazione climatica. Non c’è la volontà politica per farlo. Sto cercando di comunicare l’urgenza in cui noi scienziati climatici ci troviamo».

Cosa può dire della sua ricerca?

«I dati sono molti e ci vorranno mesi per pulirli e inserirli in un lavoro compiuto. Una parte della ricerca verteva sulla propensione a prendersi un rischio. Il cambiamento climatico è un grande evento aleatorio, per alcuni è certo, per altri un po’ meno. Alcune comunità della Papua Nuova Guinea erano contente di coltivare banani e cacao in montagna, anche se sarà un beneficio temporaneo. Altri non avevano più niente da mangiare con l’innalzamento delle maree. Abbiamo ricreato situazioni di rischio collettivo e sono rimasto allibito dalla volontà delle persone di non tutelarsi dai rischi. Offrivamo delle assicurazioni sugli eventi aleatori estremi, pochissimi sceglievano di assicurarsi e preferivano scommettere sulla probabilità bassissima di vittoria con potenzialità di guadagno altissime. Una situazione già descritta dal premio Nobel per l’economia nel 2002 Daniel Kahneman. Era un semplice gioco ma non mi rassicura sul futuro di queste comunità».

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