Tim Burton: «Se non fossi un regista sarei un serial killer. Cosa mi spaventava? Andare a scuola»

Il regista, la mostra itinerante in partenza a Torino e la cultura pop: mai mi sarei aspettato di diventare un idolo

Se non fosse diventato regista, Tim Burton sarebbe diventato un serial killer. Lo dice lui stesso oggi in un’intervista al Corriere della Sera in cui parla della mostra itinerante a lui dedicata con prima tappa a Torino. E del suo mondo «fatto di licantropi e di teschi che sorridono». Oltre che di giovani reietti: «È incredibile come il tempo passi ma alcune cose rimangano le stesse: oggi sono felice, me la cavicchio con la vita, eppure la sensazione di essere ancora quell’adolescente incompreso non mi abbandona». Poi spiega che da Edward Mani di Forbice a Mercoledì i «suoi» non sono cambiati più di tanto: «Sono molto simili, a modo loro. Mercoledì è un personaggio che mi ha parlato, a cui mi sento affine. Stiamo girando la seconda stagione».


La cultura pop

Il regista spiega che si sente vicino a questi soggetti: «Dipende dal fatto che io quei sentimenti è come se li avessi vissuti ieri. Ricordo la pena e il dolore che si prova quando sei a scuola e ti senti solo. Anche se cambi, restano in te, nel tuo Dna». Un Dna che lo ha portato ad essere un idolo della cultura pop: «Non me lo sarei mai aspettato. Figuriamoci. Quando ti senti come mi sentivo io era già tanto aspettarsi di arrivare al giorno dopo». Se non fosse un regista, dice, «probabilmente sarei diventato un serial killer». E si schermisce quando Chiara Maffoletti gli fa notare che lo chiamano tutti genio: «Non tutti dai, ci sono un sacco di persone che mi chiamano in un altro modo». Dice che non si cura della serie che stanno girando su di lui. E che a casa copre tutti gli specchi «talmente non mi interessa guardarmi». Di non aver (ancora) vinto un Oscar invece non gli dispiace: «Non sono materialista, va bene così».


Cosa spaventa Tim

I soggetti della sua mostra sono pipistrelli e scheletri. Eppure, dice, Burton, «le cose che mi hanno spaventato, e da sempre, sono altre: mi spaventava moltissimo alzarmi tutti i giorni e andare a scuola, oppure mi terrificavano alcune persone della mia famiglia: mi rendevano nervoso». Il regista spiega che l’ispirazione gli arriva «dalle cose più semplici: siamo troppo occupati a fare cose, nel mondo moderno, ma le idee migliori arrivano quando pensi ad altro. E la fantasia mi pare sempre più reale della realtà stessa».

Fellini e Bava

Infine, rivela due fonti d’ispirazione: «Sono cresciuto amando gli horror, tipo quelli di Mario Bava. Apprezzo Fellini. I film mi hanno aiutato ad affrontare la vita, psicologicamente: mi hanno spiegato come superare certi momenti». Mentre della sua carriera «non rimpiango nulla. Le cose non straordinarie che ho fatto erano comunque parte di un momento, bene così. Mi sento vicino a tutti i miei film: ognuno era parte di me».

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